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Riassumo in seguito una serie di idee personali e punti di riflessione discussi con diversi amici/artisti. Le osservazioni sono focalizzate sul nostro ambiente specifico, quello delle arti performative contemporanee, ma probabilmente in parte valide anche per sistemi di altre discipline. (Sarebbe interessante sapere da parte di artisti visivi come si articolano queste tematiche nel loro campo.) Come artisti e operatori nel campo delle arti performative contemporanee avvertiamo l’esigenza di un’alternativa a meccanismi involutivi e a contesti che - nati come innovativi e d’avanguardia - si sono gradualmente istituzionalizzati e amministrano attualmente quest’ambito artistico basandosi su una routine tesa in primis a confemare se stessa e un circuito consolidato, secondo un approccio burocratico, nelle modalita’ organizzative e - di conseguenza - nei contenuti.
PROBLEMI DEL CIRCUITO DEL CONTEMPORANEO
- CHIUSURA COME STRATEGIA DI AUTOCONSERVAZIONE
Si riscontra spesso da parte di diversi festival e operatori affermati una forma di chiusura e un elitarismo che appaiono piu’ come un’ insicurezza piuttosto che come qualcosa che si motiva realmente nelle scelte artistiche e culturali e nella qualita’ e coerenza estetica dei lavori proposti. Si osserva la tendenza a ripiegarsi su procedure che garantiscano il piu’ possibile il controllo del contesto, avendo come presupposto operativo il rifiuto di incontri e aperture verso proposte che vengano dall'esterno del proprio entourage; probabilmente per la paura che possano modificarne gli assetti, mettere in discussione le scelte di routine e il sistema che ne e’ alla base, il mantenimento dei ruoli al suo interno, i criteri e le gerarchie stabilite. E’ un’ attitudine conservatrice, a discapito del compito di sviluppo culturale e artistico a cui dovrebbero attendere. Si tratta dell’elitarismo di chi vuole proteggere una famiglia e avvertendo la fragilita’ dei propri contenuti si sente in costante pericolo. Mi riferisco al circuito degli operatori, dei critici, delle compagnie affermate, dei concorsi e dei festival consolidati nell’ambito del contemporaneo -che organizzano e gestiscono le possibilita’ per i giovani artisti - e ai teatri e agli spazi che circuitano quasi esclusivamente le scelte e i prodotti a cui questo sistema ha gia’ apposto un timbro secondo iter consolidati al suo interno e declinati in modo localistico. Ne risulta una gestione a circuito chiuso che ha nella propria chiusura la garanzia di sussistenza.
- SOSTEGNO E/O PATERNALISMO?
Diverse realta’ tese a promuovere i giovani artisti ricevono sovvenzioni per operare in questo senso e traggono sostentamento da questa attivita’ di selezione e promozione degli artisti delle generazioni piu’ giovani - a volte addirittura ne dipendono. In diversi casi la promozione e circuitazione dei giovani artisti diventa una attivita’ che serve fortemente a chi li promuove, sia con diretti risvolti economici o anche solo per stabilire e mantenere una sorta di monopolio della propria lobby, estendendolo e trasmettendola anche al livello delle generazioni successive. Paradossalmente diventa di fondamentale interesse che siano esattamente i giovani artisti scelti in queste sedi a essere circuitati nei festival, e non altri, altrimenti questi concorsi e questi centri-vivaio per le nuove generazioni del contemporaneo perderebbero insieme a questa sorta di monopolio, il loro senso di esistere e in certi casi anche quello di essere finanziati. Mentre per i giovani artisti la relazione con determinati centri-concorsi-operatori, il fatto di dover entrare in un determinato circuito, accettandone i criteri, le gerarchie e i vari dictat espliciti o o impliciti, si impone come una scelta obbligata, al di fuori della quale diventano inaccessibili la visibilita’ e i mezzi di produzione.
Diverse realta’ tese a promuovere i giovani artisti ricevono sovvenzioni per operare in questo senso e traggono sostentamento da questa attivita’ di selezione e promozione degli artisti delle generazioni piu’ giovani - a volte addirittura ne dipendono. In diversi casi la promozione e circuitazione dei giovani artisti diventa una attivita’ che serve fortemente a chi li promuove, sia con diretti risvolti economici o anche solo per stabilire e mantenere una sorta di monopolio della propria lobby, estendendolo e trasmettendola anche al livello delle generazioni successive. Paradossalmente diventa di fondamentale interesse che siano esattamente i giovani artisti scelti in queste sedi a essere circuitati nei festival, e non altri, altrimenti questi concorsi e questi centri-vivaio per le nuove generazioni del contemporaneo perderebbero insieme a questa sorta di monopolio, il loro senso di esistere e in certi casi anche quello di essere finanziati. Mentre per i giovani artisti la relazione con determinati centri-concorsi-operatori, il fatto di dover entrare in un determinato circuito, accettandone i criteri, le gerarchie e i vari dictat espliciti o o impliciti, si impone come una scelta obbligata, al di fuori della quale diventano inaccessibili la visibilita’ e i mezzi di produzione.
- MANCANZA DI DECISIONALITA’ INDIPENDENTE
In questo senso si afferma il critierio di connivenza come base dell’operato delle direzioni artistiche. I direttori dei festival possono contare sull’appoggio del proprio ambiente nella misura in cui ne seguono le coordinate e ne confermano le aspettative, possono essere certi di fare la scelta giusta nel momento in cui propongono artisti gia’ inglobati nel circuito o selezionati e autorizzati dalla rete dei concorsi, indipendentemente dalla qualita’ dei lavori. Al di fuori di questa rete di rapporti si crea automaticamente, e si vuole mantenere, un gap: gap generazionale che esclude chi non appartiene ne’ alla categoria compagnie o operatori affermati ne’ a quella dei giovani artisti, ma a una fascia mediana; gap di finanziamenti che vengono assorbiti da questo circuito istituzionalizzato; di conseguenza gap di visibilita’ e fondi per gli elementi che non vengano metabolizzati da questo circuito.
- AUTOREFERENZIALITA’ E DINAMICHE CONSERVATRICI
La comunicazione con il pubblico e in generale il rapporto con chi non e’ un esponente del circuito sono messi assolutamente in secondo piano, il problema della mancanza di spettatori e di interesse dall’esterno vengono liquidati con l'osservazione che il contemporaneo e’ di per se’ un ambito elitario e riservato a pochi, sottolineando la necessita’ di difendere spazi liberi e non soggiogati dalla legge del mercato e della quantita’. Ma se questo discorso puo’ svolge bene la funzione di alibi, d’altra parte i sintomi di incomunicabilita’ possono essere letti come la necessaria conseguenza di un sistema che, concentrandosi esclusivamente su se stesso e sul proprio mantenimento, ha perso di vista la sua finalita’ e il rapporto con l’esterno. Ne consegue una debolezza costituzionale del sistema, che a sua volta lo spinge ad essere conservatore - in quanto impegnato nella propria salvaguardia. Appare come un sistema autoreferenziale che vuole mantenere il proprio privilegio o almeno il proprio sistema di sussistenza, di finanziamenti, che compensa la propria debolezza facendo muro contro ogni elemento esterno e occupandosi costantemente di consolidare la posizione dei propri esponenti. Si tratta di un meccanismo che in generale si verifica per tutti i sistemi che si cristallizzano, tipico della (mal)politica nazionale e internazionale, ma particolarmente inappropriato quando si ripropone nell’ambito della cultura e dell’arte contemporanea, caratterizzate dall’essere potenzialmente portatrici di valori innovativi, critici e dinamici.
ATTUALIZZARE L’ALTERNATIVA
In risposta e in sincronia con fenomeni che in modi diversi stanno proponendo una reazione e cercando modalita’ alternative quali MACAO, Teatro Valle Occupato, Teatro Garibaldi Aperto, Cinema Palazzo e altri, si sente l’esigenza di un nuovo spazio di presentazione e produzione di arte e cultura che sia realmente innovativo, attuale, aperto a un circuito fluido, non cristallizzato e multiforme, che nasca come prodotto e contenitore di movimenti in ambito artistico e culturale, gestito dagli artisti stessi, dai teorici e da chi espone i propri contenuti, consapevolemente anti-burocratico.
- LEGITTIMARE IL CONTATTO DIRETTO COME VALORE E COME PROCESSO FONDAMENTALE NELLA PRODUZIONE DI ARTE E CULTURA
Pensiamo siano da riconoscere e rendere espliciti come principi positivi alla base dei processi di collaborazione e di produzione: la sinergia basata sui rapporti personali, sul contatto diretto e le affinita' attivate dall'esperienza artistica, l’auto-selezione e la scelta reciproca, le esperienze condivise, sostendoli come valori leggittimi su cui basarsi in modo dichiarato. Contatto diretto e sinergia sono da rivendicare come terreno e materia con cui si alimenta la cultura, base dei criteri operativi, essenziali per renderla possibile, per alimentarne uno sviluppo non sterile, non sclerotizzato, non basato sul calcolo e meccanismi finanziari tipici della mentalita' capitalista. Penso sia necessario andare contro la generale tendenza a nascondere e mistificare il fattore umano e personale per avanzare criteri che possano vantarsi di ufficialita’ e neutralita’ - che vengono poi puntualmente traditi nella realta’ operativa. Si ritiene indispensabile svalutare il fattore personale e giustificare scelte e operato in base a principi astratti e sovrapersonali, politicamente corretti ma solitamente ipocriti e/o inefficaci. Da questo assunto deriva la cattiva abitudine di istituire commissioni che garantiscano una facciata di imparzialita’, ma che poi solitamente operano in base ai criteri di lobby e di autoconsolidamento, diventando anzi i primi responsabili della tendenziosita’ delle scelte. Mi orienterei quindi verso una operativita’ che rifugga il piu’ possibile dall’istituzione di commissioni, direttivi, etc., che - paradossalmente sotto termini spesso derivati dai movimenti degli anni ’70 - nascondono spesso il configurarsi nell’ambito specifico di una sorta di “classe politica” intesa nella peggiore delle accezioni del termine, la quale partendo dall’idea di fare da intermediario, tende poi inevitabilmente a rappresentare se stessa e i propri interessi, diventando sempre piu’ ingombrante.
- RESTRINGERE L’IMPORTANZA DI INTERMEDIAZIONE E RAPPRESENTANZA E LA GESTIONE DEI FONDI PUBBLICI DA PARTE DELLA CATEGORIA DEGLI INTERMEDIARI
Si pone l’esigenza di un cantiere per iniziare il confronto e lo sviluppo di nuove modalita’, che corrispondano ad esigenze e dinamiche attuali. Le probelmatiche della rappresentanza e della gestione delle risorse pubbliche sono al centro di una riflessione molto attuale e interessante, per esempio nell’ambito del Partito Pirata - attraverso l’elaborazione di software creati in funzione di un processo decisionale aperto, sviluppato in open-source, condiviso in ogni suo passaggio riducendo al massimo la funzione delle deleghe. Fondamentale per esempio il concetto di reddito di esistenza proposto in vari contesti - vedi BIN / www.bin-italia.org. Il reddito di esistenza corrisponde all’idea di distribuire ad ogni cittadino quel minimo di reddito che garantisce la sussitenza, indispensabile perche’ siano garantiti anche la dignita’ e i diritti umani elementari. Dal punto di vista economico si calcola sia fattibile, portando un risparmio rispetto agli attuali investimenti tesi a risolvere la crisi del lavoro. Si valuta che per la maggioranza le persone utilizzeranno naturalmente questa condizione di sicurezza per aumentare le proprie facolta’ intellettuali e/o pratiche, portando a un maggiore sviluppo sociale. Quest'idea scardina alla base il ricatto sociale su cui si fonda attualmente l’esistenza materiale, proponendo un assetto del tutto nuovo.
- RIFONDARE IL RAPPORTO TRA ARTISTA – INTERMEDIARIO - SPETTATORE – DANDO CREDITO ALLA RESPONSABILITA’ PERSONALE DELL’ARTISTA E DELLO SPETTATORE
Riportando questo concetto al nostro ambito specifico, si potrebbe concepire un analogo diritto di esistenza artistica. Si tratta di ideare un sistema radicalmente diverso di distribuzione dei fondi pubblici per garantire la visibilita’ ad ogni artista che si ritenga parte del contemporaneo e che si valuti pronto a mostrare il proprio lavoro, assumendone direttamente la responsabilita’ nei confronti degli spettatori. Osservo che gli artisti esercitano gia’ nella maggior parte dei casi una grande attenzione nel valutare il proprio lavoro, il momento adatto a presentarlo e i contesti in cui inserirsi. Come anche lo spettatore seleziona con attenzione quello che andra’ a vedere. Raramente accade che qualcuno desideri inserirsi in contesti totalmente inadeguati. Si mette in questione la figura dell’intermediario nell'accezione di elemento indispensabile; della necessita' che qualcuno oltre all’artista stesso si assuma la responsabilta’ di presentare un lavoro, di farsene garante, di indirizzare il pubblico verso un’opera piuttosto che un’altra, elargendo o negando la visibilita’ e gestendo le risorse destinate a questo fine. Noto in proposito che in un pubblico di pochi spettatori si trova sempre qualcuno entusiasta di un lavoro che a un altro non piace per niente, e viceversa. L'establishment ha il difetto di operare un’omologazione del gusto – di indicare una posizione generale rispetto a un lavoro, a un artista o a un’estetica, a cui poi automaticamente si aderisce per connivenza e per convenzione. Si pone il diritto elementare alla visibilita’ per ogni artista che si ritenga pronto a esporsi e confrontarsi con l'audience, responsabile in prima persona del lavoro che presenta al pubblico, da cui avra’ il necessario e diretto riscontro; e l’analogo diritto dello spettatore a selezionare direttamente in un’offerta eterogenea le proposte che trova interessanti, reagendo in base al proprio specifico interesse e non hai dictat di un’ambiente. Questo non nega affatto la possibilita’ di operazioni di direzione artistica, ma attuate in modalita’ e ambiti che non risultino ingombranti, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle risorse pubbliche, e che non interferiscano con questi diritti. Riguardo al sistema di distribuzione delle risorse e dei fondi pubblici si potrebbe pensare a una ripartizione a persona che vada direttamente dalla fonte agli artisti, ai teorici, eliminando la piramide gerarchica che vede in cima le commissioni e le direzioni artistiche con pochi artisti affermati, assottigliando sempre di piu’ i contributi nella discesa verso la base, fino ad arrivare ai numerosi artisti e teorici che vengono spesso coinvolti a gratis in attivita’ e festival per i quali i direttori artistici percepiscono un compenso. Con il paradosso che a volte sono soprattutto gli artisti che lavorano senza compenso (o quasi) a costituire il corpus maggiore della forza lavoro e della vitalita’ dell'iniziativa.
- N.B. DI SOLITO IL PADRONE DI CASA OFFRE LA CENA (O ALMENO DA BERE)
In proposito osservo che in caso di ristrettezze dovrebbe piuttosto essere la direzione artistica, nel ruolo di “padrone di casa” quale attualmente riveste - ospite e soggetto che coinvolge altri in un’attivita’ da lui concepita, di cui amministra le risorse e che si accredita – a usare i fondi per offrire la cena agli ospiti che ha invitato, ed eventualmente a rinunciare alla propria parte in loro favore se nonostante la mancanza di risorse adeguate decida di realizzarla ad ogni costo. Contrariamente a quanto accade di frequente: il direttore e i membri del direttivo artistico percepiscono un compenso adeguato, condividendo i fondi pubblici con pochi artisti eletti per rigorosi motivi estetici o per routine e per doveri lobbistici (allora i principi estetici vengono improvvisamente flessi alle piu’ acrobatiche torsioni per sostenere ad oltranza la coerenza delle scelte fatte), lasciando che gli altri artisti e teorici lavorino gratuitamente, o quasi, in una sorta di benevolo sfruttamento.
- INNOVAZIONI DRASTICHE – DAL PROPRIO AMBITO FINO AL SISTEMA DI DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE PUBBLICHE
In questo senso metto fortemente in dubbio la necessita’ e l’operato standard di varie direzioni artistiche che, pure non avendo dimostrato di produrre risultati efficaci nella intermediazione tra risorse, artisti e spettatori (dato che molti contesti languiscono e la crisi e’ manifesta), continuano a intercettare e assorbire i fondi pubblici per farne un uso involutivo nel panorama del contemporaneo. Sarebbe utile quindi un'innovazione drastica del sistema delle sovvenzioni pubbliche che elimini queste disfunzioni, garantendo una distribuzione equa, consentendo agli artisti un accesso diffuso alle condizioni e alla visibilita’ necessarie, non soggetta a criteri nebulosi e aleatori. Credo d’altra parte che i processi innovativi debbano essere attivati in primis da chi li sostiene a partire dal proprio ambito di azione, mettendo in discussione alcune dinamiche in quello che gestisce egli stesso, non solo come rivendicazione rivolta ad altri - a quelli che hanno lotti maggiori - ma ignorata nel proprio agire. Questa tendenza a citicare chi si trova un gradino piu’ in alto, senza pero’ sentire l’esigenza di processi alternativi in quello che si amministra direttamente, rende poco credibile la critica, gli conferisce piuttosto il carattere di lamentela, premette soltanto a una turnazione di chi riveste i ruoli, non un cambiamento sostanziale delle dinamiche.
Serve il coraggio necessario a rompere la routine (di pensiero e azione) e ad aprire le porte, andando oltre ai timori di invasioni fisiche o estetiche che subito si associano a quest'idea e che appaiono essere in realta’ pericoli meno reali di quanto si tenda a supporre – comunque rischi da correre e da accettare per un processo che puo’ essere assolutamente vantaggioso in senso artistico. Ne risultera’ probabilmente una rivitalizzazione dell’offerta e del campo del contemporaneo e un maggiore interesse e coinvolgimento di artisti, spettatori e pubblico, rispetto alla contrazione attuale. Si spera che il contemporaneo possa diventare realmente uno spazio di contro-cultura, innovativo, aperto, non burocratico, non gerarchizzato e potenzialmente sovversivo riguardo a tutti i criteri e le procedure sopra citate. Si rendono necessari contesti e processi nuovi che volontariamente ignorino le gerarchie e i parametri di valore stabiliti.
Serve il coraggio necessario a rompere la routine (di pensiero e azione) e ad aprire le porte, andando oltre ai timori di invasioni fisiche o estetiche che subito si associano a quest'idea e che appaiono essere in realta’ pericoli meno reali di quanto si tenda a supporre – comunque rischi da correre e da accettare per un processo che puo’ essere assolutamente vantaggioso in senso artistico. Ne risultera’ probabilmente una rivitalizzazione dell’offerta e del campo del contemporaneo e un maggiore interesse e coinvolgimento di artisti, spettatori e pubblico, rispetto alla contrazione attuale. Si spera che il contemporaneo possa diventare realmente uno spazio di contro-cultura, innovativo, aperto, non burocratico, non gerarchizzato e potenzialmente sovversivo riguardo a tutti i criteri e le procedure sopra citate. Si rendono necessari contesti e processi nuovi che volontariamente ignorino le gerarchie e i parametri di valore stabiliti.
Nhandan Chirco
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