C’è speranza se questo accade a Casa Madiba
PUBBLICATO 26.6.2015, 12:01
Siamo a Rimini, a Casa Madiba. Sgomberi e occupazioni per il diritto alla casa, politiche dell’accoglienza, grandi eventi come Expo, l’uso cosmetico dei beni comuni, marketing del territorio e della produzione culturale. Questa è una storia di resistenze e di un nuovo modello sociale.
Siamo a Rimini, a Casa Madiba. Sgomberi e occupazioni per il diritto alla casa, politiche dell’accoglienza, grandi eventi come Expo, l’uso cosmetico dei beni comuni, marketing del territorio e della produzione culturale. Questa è una storia di resistenze e di un nuovo modello sociale.
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Casa Madiba era un edificio occupato in via Dario Campana a Rimini, di proprietà comunale, occupato da un anno dai movimenti impegnati nelle politiche dell’autogestione, della produzione culturale, nella lotta per la casa e nella solidarietà attiva con i migranti.
Lo sgombero. Si rioccupa
il 20 maggio Casa Madiba è stata sgomberata. Il comune di Rimini ha sostenuto di volere mettere a bando l’edificio “a fini sociali”. “Sarà oggetto entro il mese di giugno 2015 di un intervento di riqualificazione e messa in sicurezza in vista di un suo specifico utilizzo a fini sociali e di volontariato privato — ha confermato quel giorno l’assessora Sara Visintin - Ciò avverrà con una procedura di assegnazione dell’immobile attraverso evidenza pubblica”. La decisione ha messo in difficoltà Rifondazione Comunista, il partito di cui Visintin fa parte, che ha proposto: “una convenzione per consentire la ripresa immediata delle attività e della dimensione sociale e politica ospitata nello stabile”.
Agli attivisti di Casa Madiba è stata proposta una convenzione, che oggi sembra diventata una procedura di assegnazione con la formula dell’istruttoria e non del bando. Una strada che non ha convinto gli attivisti di Casa Madiba che hanno reagito. Il 23 maggio un corteo di protesta contro lo sgombero si è concluso con l’occupazione del Villino Ricci. Una risposta determinata che accende la discussione in città. Il sindaco Gnassi ne chiede lo sgombero. Nel frattempo i venti migranti (tra i quali ci sono anche bambini) in emergenza abitativa ospitati nell’occupazione precedente hanno ritrovato una casa.
Tecniche di governo
Il conflitto cresce e vengono adottati gli strumenti della diffamazione già visti negli ultimi tempi per colpire altre occupazioni abitative, ad esempio a Roma. Il 12 giugno scorso il Resto del Carlino pubblica questa notizia: “Pentito di Casa Madiba denuncia si pagava per dormire nella casa occupata”. La notizia è stata pubblicata dall’Ansa, precisando che la richiesta sarebbe stata di 400 euro. La procura a Rimini ha aperto un fascicolo per violenza privata ed estorsione. Questa è la ricostruzione degli attivisti che descrivono un quadro preciso della lotta contro l’emarginazione sociale e come, davvero, vive chi — migrante, profugo, senza casa — non ha diritti e viene perseguitato dalla retorica xenofoba della “ruspa”.
“Procura e Questura hanno usato un alcolista anonimo precedentemente accolto ed allontanato dall’assemblea di autogoverno di Casa Madiba - scrivono gli attivisti in una nota — a seguito di ripetuti episodi di violenza a danno di altri ospiti, attivisti e struttura — per sferrare un attacco inquietante. Alludere al fatto che il progetto di accoglienza degna per i rifugiati e gli homeless della città, nato intorno al progetto di Casa Madiba, lucrasse su tali emergenze e disagi di natura abitativa”. “Nessuno ha mai pagato per stare a Casa Madiba. Casa Madiba grazie all’attività di autofinanziamento, ha contribuito con vitto e alloggio per gli ospiti e ha inoltre contribuito alle spese di rinnovo dei documenti. Quando poi i soldi non bastavano li abbiamo tirati fuori di tasca nostra”.
A smentire la ricostruzione pubblicata dalla stampa i racconti crudi degli ospiti: “Sono rimasto scioccato dalle parole del Carlino – ha detto un ospite kenyano – abito lì da un anno e posso dire che non solo non è vero quello che dice il giornale, ma è l’esatto contrario. Sono loro che pagano per noi”. Un ragazzo nigeriano: “Come faccio a pagare Casa Madiba che non ho soldi neanche per me? Non ci fossero stati loro non saprei dove sarei adesso”. Un altro: “Non si può trasformare un’azione umana in una delinquenza”.
Il Doppio Stato
E’ la condizione di chi vive, e opera politicamente, in una società dove le politiche dell’accoglienza sono diventate oggetto di imprese criminali, dove la cooperazione è diventato un modo per sfruttare finanziariamente la vita di profughi e migranti, mentre le politiche dello stato sociale vengono cancellate e ciò che resta trasformato in politica securitaria. E’ il dispositivo che ha portato alla creazione della rete criminale di “Mafia Capitale”, a Roma come in tutta Italia. Nel descrivere questo dispositivo gli attivisti hanno usato un’espressione di Stefano Rodotà in questa intervista: «Il doppio stato oggi è un modo consolidato di gestire il potere. Lo abbiamo visto all’opera all’Expo, al Mose, e in altre città. L’illegalità non è un fenomeno marginale, è centrale nella vita dello Stato». Non un dispositivo relegato solo allo sfruttamento biopolitico dei migranti, ma un vero sistema di potere, complesso e stratificato, non omogeneo ma proliferante, dentro il perimetro della cosiddetta legalità e operante con strumenti extra-legali.
Arriva Expo
Questa analisi gli attivisti di Casa Madiba la svolgono rispetto a “Rimining”, un cartellone di iniziative artistiche e culturali. Rimining — si legge in uno dei lanci promozionali dell’iniziativa — è un’operazione di branding pensata per promuovere Rimini in vista di Expo. Un calendario di eventi fra i quali la Notte Rosa alla Molo Street Parade, concerti, cucina, la Sagra Malestiana, fiere come la Festa della Rete, o quelle dedicate ai bambini con il logo del festival Mare di Libri al Cartoon Club. “Rimining” è un modo per fare “marketing del territorio”, usando il “brand” di Expo, dentro le filiere nazionali costruite in occasione di questo “grande evento” che aspira a cambiare il bene di riferimento per un capitale malmesso come quello italiano: il “made in Italy”.
La trasformazione di un territorio in intrattenimento generalizzato– una tensione non certo estranea a Rimini e alla riviera romagnola — rientra in un sistema di governo del territorio. Per gli attivisti di Casa Madiba — che alle forme di “coabitazione” associano quelle di “coproduzione culturale” — si tratta di un “danno al territorio”. Rimining è “l’esito di una governance top-down che sfrutta il brand”. Sotto la veste apparentemente “leggera”, si nasconde un’economia capitalistica di tipo estrattivo e di appropriazione.
Al centro di questa critica c’è il Coconuts, Il locale di punta della “Rimining”. Il 9 giugno scorso, il Coconnuts è stato chiuso per un mese, sono stati effettuati 20 arresti per un giro di cocaina. Secondo gli inquirenti un pusher arrivava a vendere 1,5 chili di cocaina in una serata. Il difensore del proprietario del locale lo spaccio sarebbe avvenuto “fuori dal Coconuts” e ha definito “eccessiva la sospensione di un mese delle attività”: “come la mettiamo con le sponsorizzazione col logo Coconuts fatte da Rimini nelle campagne nazionali per Notte Rosa e Molo Street Parade?” ha domandato il legale. Cioè con alcune delle iniziative comprese nel cartellone “Rimining” nella cornice dell’Expo.
L’uso cosmetico dei beni comuni
Altro elemento utile per comprendere come lo sgombero di un’occupazione abitativa influisca in realtà su una governance che mette insieme relazioni politiche,politiche dell’accoglienza e produzione culturale, gestione del territorio e del brand di una città votata all’intrattenimento, sono i beni comuni. Nell’ambito del Rimining, mentre Casa Madiba veniva sgomberata, è stato riaperto il cinema Astoria abbandonato da anni. Il comune ha concesso un patrocinio a un’iniziativa che riprende gli slogan della partecipazione e dei beni comuni sviluppati nell’ambito dei teatri occupati. Quelle formule che piacciono alle amministrazioni di “centro-sinistra”, depurate però dei movimenti, dei processi di auto-governo e di partecipazione della cittadinanza.
In questo caso, per Casa Madiba, i beni comuni a Rimini servono all’amministrazione per “riabilitare la propria immagine nonostante le pratiche di repressione attuate nei confronti delle esperienze territoriali realmente autogestite e partecipate”. “Si prepara — aggiungono — l’assegnazione concordata del Cinema Astoria a lungo termine, in modo diametralmente opposto agli impedimenti avanzati per l’assegnazione dell’edificio sequestrato dopo lo sgombero di Casa Madiba, per il quale sembrano imprescindibili procedure quali il bando o l’istruttoria”.
Rimini calling: for what?
<L’uso cosmetico dei beni comuni, così come la loro riduzione a mero decoro urbano e sfruttamento del lavoro volontario dei cittadini, è un problema centrale oggi per chi si interroga sulla crisi della democrazia e le politiche dell’austerità. Un uso che Casa Madiba intende decostruire nell’iniziativa“Rimini calling: What For?”, una tre giorni di iniziative definito “Laboratorio internazionale migrante delle politiche territoriali attive”, da oggi fino a domenica.
Roberto Ciccarelli
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Casa Madiba era un edificio occupato in via Dario Campana a Rimini, di proprietà comunale, occupato da un anno dai movimenti impegnati nelle politiche dell’autogestione, della produzione culturale, nella lotta per la casa e nella solidarietà attiva con i migranti.
Lo sgombero. Si rioccupa
il 20 maggio Casa Madiba è stata sgomberata. Il comune di Rimini ha sostenuto di volere mettere a bando l’edificio “a fini sociali”. “Sarà oggetto entro il mese di giugno 2015 di un intervento di riqualificazione e messa in sicurezza in vista di un suo specifico utilizzo a fini sociali e di volontariato privato — ha confermato quel giorno l’assessora Sara Visintin - Ciò avverrà con una procedura di assegnazione dell’immobile attraverso evidenza pubblica”. La decisione ha messo in difficoltà Rifondazione Comunista, il partito di cui Visintin fa parte, che ha proposto: “una convenzione per consentire la ripresa immediata delle attività e della dimensione sociale e politica ospitata nello stabile”.
Agli attivisti di Casa Madiba è stata proposta una convenzione, che oggi sembra diventata una procedura di assegnazione con la formula dell’istruttoria e non del bando. Una strada che non ha convinto gli attivisti di Casa Madiba che hanno reagito. Il 23 maggio un corteo di protesta contro lo sgombero si è concluso con l’occupazione del Villino Ricci. Una risposta determinata che accende la discussione in città. Il sindaco Gnassi ne chiede lo sgombero. Nel frattempo i venti migranti (tra i quali ci sono anche bambini) in emergenza abitativa ospitati nell’occupazione precedente hanno ritrovato una casa.
Tecniche di governo
Il conflitto cresce e vengono adottati gli strumenti della diffamazione già visti negli ultimi tempi per colpire altre occupazioni abitative, ad esempio a Roma. Il 12 giugno scorso il Resto del Carlino pubblica questa notizia: “Pentito di Casa Madiba denuncia si pagava per dormire nella casa occupata”. La notizia è stata pubblicata dall’Ansa, precisando che la richiesta sarebbe stata di 400 euro. La procura a Rimini ha aperto un fascicolo per violenza privata ed estorsione. Questa è la ricostruzione degli attivisti che descrivono un quadro preciso della lotta contro l’emarginazione sociale e come, davvero, vive chi — migrante, profugo, senza casa — non ha diritti e viene perseguitato dalla retorica xenofoba della “ruspa”.
“Procura e Questura hanno usato un alcolista anonimo precedentemente accolto ed allontanato dall’assemblea di autogoverno di Casa Madiba - scrivono gli attivisti in una nota — a seguito di ripetuti episodi di violenza a danno di altri ospiti, attivisti e struttura — per sferrare un attacco inquietante. Alludere al fatto che il progetto di accoglienza degna per i rifugiati e gli homeless della città, nato intorno al progetto di Casa Madiba, lucrasse su tali emergenze e disagi di natura abitativa”. “Nessuno ha mai pagato per stare a Casa Madiba. Casa Madiba grazie all’attività di autofinanziamento, ha contribuito con vitto e alloggio per gli ospiti e ha inoltre contribuito alle spese di rinnovo dei documenti. Quando poi i soldi non bastavano li abbiamo tirati fuori di tasca nostra”.
A smentire la ricostruzione pubblicata dalla stampa i racconti crudi degli ospiti: “Sono rimasto scioccato dalle parole del Carlino – ha detto un ospite kenyano – abito lì da un anno e posso dire che non solo non è vero quello che dice il giornale, ma è l’esatto contrario. Sono loro che pagano per noi”. Un ragazzo nigeriano: “Come faccio a pagare Casa Madiba che non ho soldi neanche per me? Non ci fossero stati loro non saprei dove sarei adesso”. Un altro: “Non si può trasformare un’azione umana in una delinquenza”.
Il Doppio Stato
E’ la condizione di chi vive, e opera politicamente, in una società dove le politiche dell’accoglienza sono diventate oggetto di imprese criminali, dove la cooperazione è diventato un modo per sfruttare finanziariamente la vita di profughi e migranti, mentre le politiche dello stato sociale vengono cancellate e ciò che resta trasformato in politica securitaria. E’ il dispositivo che ha portato alla creazione della rete criminale di “Mafia Capitale”, a Roma come in tutta Italia. Nel descrivere questo dispositivo gli attivisti hanno usato un’espressione di Stefano Rodotà in questa intervista: «Il doppio stato oggi è un modo consolidato di gestire il potere. Lo abbiamo visto all’opera all’Expo, al Mose, e in altre città. L’illegalità non è un fenomeno marginale, è centrale nella vita dello Stato». Non un dispositivo relegato solo allo sfruttamento biopolitico dei migranti, ma un vero sistema di potere, complesso e stratificato, non omogeneo ma proliferante, dentro il perimetro della cosiddetta legalità e operante con strumenti extra-legali.
Arriva Expo
Questa analisi gli attivisti di Casa Madiba la svolgono rispetto a “Rimining”, un cartellone di iniziative artistiche e culturali. Rimining — si legge in uno dei lanci promozionali dell’iniziativa — è un’operazione di branding pensata per promuovere Rimini in vista di Expo. Un calendario di eventi fra i quali la Notte Rosa alla Molo Street Parade, concerti, cucina, la Sagra Malestiana, fiere come la Festa della Rete, o quelle dedicate ai bambini con il logo del festival Mare di Libri al Cartoon Club. “Rimining” è un modo per fare “marketing del territorio”, usando il “brand” di Expo, dentro le filiere nazionali costruite in occasione di questo “grande evento” che aspira a cambiare il bene di riferimento per un capitale malmesso come quello italiano: il “made in Italy”.
La trasformazione di un territorio in intrattenimento generalizzato– una tensione non certo estranea a Rimini e alla riviera romagnola — rientra in un sistema di governo del territorio. Per gli attivisti di Casa Madiba — che alle forme di “coabitazione” associano quelle di “coproduzione culturale” — si tratta di un “danno al territorio”. Rimining è “l’esito di una governance top-down che sfrutta il brand”. Sotto la veste apparentemente “leggera”, si nasconde un’economia capitalistica di tipo estrattivo e di appropriazione.
Al centro di questa critica c’è il Coconuts, Il locale di punta della “Rimining”. Il 9 giugno scorso, il Coconnuts è stato chiuso per un mese, sono stati effettuati 20 arresti per un giro di cocaina. Secondo gli inquirenti un pusher arrivava a vendere 1,5 chili di cocaina in una serata. Il difensore del proprietario del locale lo spaccio sarebbe avvenuto “fuori dal Coconuts” e ha definito “eccessiva la sospensione di un mese delle attività”: “come la mettiamo con le sponsorizzazione col logo Coconuts fatte da Rimini nelle campagne nazionali per Notte Rosa e Molo Street Parade?” ha domandato il legale. Cioè con alcune delle iniziative comprese nel cartellone “Rimining” nella cornice dell’Expo.
L’uso cosmetico dei beni comuni
Altro elemento utile per comprendere come lo sgombero di un’occupazione abitativa influisca in realtà su una governance che mette insieme relazioni politiche,politiche dell’accoglienza e produzione culturale, gestione del territorio e del brand di una città votata all’intrattenimento, sono i beni comuni. Nell’ambito del Rimining, mentre Casa Madiba veniva sgomberata, è stato riaperto il cinema Astoria abbandonato da anni. Il comune ha concesso un patrocinio a un’iniziativa che riprende gli slogan della partecipazione e dei beni comuni sviluppati nell’ambito dei teatri occupati. Quelle formule che piacciono alle amministrazioni di “centro-sinistra”, depurate però dei movimenti, dei processi di auto-governo e di partecipazione della cittadinanza.
In questo caso, per Casa Madiba, i beni comuni a Rimini servono all’amministrazione per “riabilitare la propria immagine nonostante le pratiche di repressione attuate nei confronti delle esperienze territoriali realmente autogestite e partecipate”. “Si prepara — aggiungono — l’assegnazione concordata del Cinema Astoria a lungo termine, in modo diametralmente opposto agli impedimenti avanzati per l’assegnazione dell’edificio sequestrato dopo lo sgombero di Casa Madiba, per il quale sembrano imprescindibili procedure quali il bando o l’istruttoria”.
Rimini calling: for what?
<L’uso cosmetico dei beni comuni, così come la loro riduzione a mero decoro urbano e sfruttamento del lavoro volontario dei cittadini, è un problema centrale oggi per chi si interroga sulla crisi della democrazia e le politiche dell’austerità. Un uso che Casa Madiba intende decostruire nell’iniziativa“Rimini calling: What For?”, una tre giorni di iniziative definito “Laboratorio internazionale migrante delle politiche territoriali attive”, da oggi fino a domenica.
Roberto Ciccarelli
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