Thursday, 28 November 2013

FOCUS > sull'intervista a Thomas Bernhard

il 30 ottobre branko ha postato sul mio profilo fb l'intervista a Thomas Bernhard. è iniziata una discussione che pensiamo sia interessante condividere.
paola

caro branko,
l'intervista a bernhard che hai postato su fb mi trova d'accordo in quanto provocazione, come punto di partenza, ma per certi versi la trovo decisamente pericolosa.
bisogna considerare che l'austria non è e non è mai stata l'italia. in austria lo stato è molto presente e l'unico modo per fare arte è avere soldi dallo stato – cosa che da noi non accade. questa mentalità è entrata nel dna di chiunque voglia fare uno spettacolo, scrivere musica o altro - giovane o vecchio che sia. anche gli artisti indipendenti e della scena underground ricevono periodicamente sussidi. qui non è così.

The arts must support themselves. Not even great institutions ought to be subsidized. They ought to operate at the behest of a commercial principle: “Devour or starve.”

l'idea del principio commerciale dell'arte in sé mi troverebbe d'accordo se tutto fosse diverso. in questo momento storico vorrebbe dire cancellare tutto ciò che non è mainstream e solo i comici di zelig o i personaggi televisivi avrebbero spazio.

What we need is a commercial theater scene, then we’ll get, you know, small, self-supporting opera productions, and things will get back to being natural.

certo se tutto si riducesse a piccole produzioni, forse. ma non sarebbe un modo per dettare una legge che non permetterebbe la visionarietà del teatro?
non so.
forse è vero, la soluzione sarebbe azzerare e ripartire da capo.
mi sembra però che il ragionamento di bernhard vada un po’ in questa direzione: non si mette in discussione il rapporto tra arte e denaro, semplicemente si cerca un modo altro all'interno del sistema esistente. 
a me, in fondo, importa poco che qualcuno prenda i soldi dal ministero, che i miei coetanei danzatori percepiscano la pensione. ognuno fa le proprie scelte e la mia è stata quella di non chiedere sovvenzioni ministeriali, di non diventare un burocrate, di non entrare nella logica del sussidio, di vivere solo del "commercio" della mia "arte". e pago le conseguenze della mia scelta così come loro pagano le loro (anche se decisamente più comode). allora, perché non mi basta? qual è il problema? dovrei essere appagata, invece…  
il problema è che il mercato non è libero? che c'è una concorrenza sleale da parte di chi percepisce sovvenzioni statali? che i circuiti sono blindati?
tutte cose vere, ma che sappiamo da sempre.
allora perché adesso? perché la torta è troppo piccola e a noi non restano neanche le briciole?
mi sembra che questa intervista porti la discussione in una direzione che non è quella che stiamo tentando di seguire da mesi, cioè: è possibile un'uscita radicale? e quale?
iniziamo anche eliminando alcuni termini dal nostro vocabolario: produzione - mercato. riguardano il nostro fare?

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