Tuesday, 17 December 2013

FOCUS > sull'intervista a T.B.


cara paola,

ho postato l'intervista di bernhard perche è sincera, perché comunque tratta la questione di rapporto arte-denaro, perché contempla, anche se in modo provocatorio, soluzioni radicali - ma sopratutto perché dietro le parole ci sta uno con il proprio esempio. insomma mette il dito nella piaga. vero che contiene anche una deriva pericolosa - quella di commercializzazione dell'arte - ma qui forse c'è un equivoco? 
bernhard critica il sistema (austriaco) di sussidi di stato, che sono distribuiti in base ai criteri dubbiosi, e che crea un arte docile, confezionata, atrofizzata. però tutti finanziamenti pubblici destinati all'arte non sono altro che sussidi allargati alle compagnie, festival e teatri, cioè alle istituzioni culturali. è vero che in italia manchino i sussidi per artisti singoli, ma ci sono (spesso pochi ma a volte anche ingenti) i finanziamenti pubblici con cui campano tante illustri companie-istituzioni di regola blindate e gestite con una logica squisitamente privata (per non dire mafiosa). allora il problema è fondamentalmente lo stesso. il fato è che esiste un forte vincolo economico che fa si che da una parte chi gode del sopporto statle comunque (anche quando apparentemente lo "critica") opera in funzione del sistema, per l'interesse del sistema, e dall'altra si blinda (adotta una logica operativa mafiosa) per preservare la posizione di forza acquisita grazie al sopporto ricevuto. 
allora come uscire dal circolo vizioso? tagliando sussidi/finanziamenti pubblici (quello che si augura bernhard)?. rischio commercializzazione? non lo so. cosa uno intende come commercializzazione? si riferisce ai contenuti - mainstreamizzazione d'arte (zelig, disney e simili) oppure al fenomeno della comodificazione dell'arte in quanto un prodotto di lusso? non riguardano i stessi campi anche se sono fenomeni legati. anzi. la prima riguarda un mercato di industrie creative (cinema blockbuster, serie tv, video giochi, design, moda, etc) - insomma l'arte applicata. l'altra riguarda il (vero) mercato d'Arte che non veicola di sicuro contenuti tipo zelig e simili ma ben altro (qualche giorno fa è stato venduto un trittico di Bacon per 142 milioni !?!). è super elitista, certo, riguarda 1% di super ricconi - ma esiste. bernhard non dice altro che: sei artista, sei bravo, benone allora vai a misurarti con il mercato (d'Arte), vediamo a quanto riesci a far valere/vendere la tua opera - invece di succhiare i sussidi pubblici trasformandoti in un burocrate d'arte obsoleto che per forza non sovverte il sistema ma lavora per esso. lo stesso vale per le compagnie/teatri/musei etc - nel senso delle varie "direzioni artistiche" di questi - siete bravi? allora misuratevi col mercato... invece di campare con i soldi pubblici utilizzandoli in modo non-trasparente, sfruttando uni, escludendo altri, operando solo e unicamente nel vostro proprio interesse economico e per la vostra propria immagine. 

dunque visto che il sistema di finanziamenti pubblici è diventato così opaco, esclusivo e obsoleto allora forse è meglio tagliare corto - andate e sbrogliatevi da soli se siete così bravi, se sono soldi che cercate, se volete successo, potere - cioè fatte quello che c. vi pare ma a spese vostre non a spese di tutti. e poì tagliando i finnaziamenti pubblici non ci sara più la concorenza sleale - tutti uguali davanti al mercato - clara pacta boni amici !

ovviamente io mi auguro che esista possibilità per fare un altra arte - non soggetta alla logica del mercato dell'industria creativa e nemmeno a quella del mercato d'arte dell'élite - un arte veramente svincolata da vari interessi ideologico-economici, un arte che sia il veicolo per la trasformazione sociale e personale (perché inseparabili), un arte di cui mezzi di produzione e distribuzione sono nelle mani di tutti, senza filtri ne mediazioni ne manipolazioni. ovviamente per rendere una tale arte materialmente possibile si pone la questione dei fondi. oppure uno è ricco di famiglia (o fortunato di trovare uno mecenate illuminato) e se la può premettere senza scendere ai compromessi del mercato/sistema - ma lì si parla di pochi e non di tutti - oppure si riapre (giustamente) la questione delle risorse pubbliche. e come l'acqua in quell'ambito è avvelenata si pone per forza la questione del risettamento - azzeramento - bisogna riformare strutturalmente il sistema di finanziamenti pubblici! non può più essere gestito da pochi nel interesse di pochi - con scusa che non ci sono risorse per tutti - perché è così che funziona (e si dice) nel dominio privato! ma risettare non è evidente perché il bene pubblico e quello privato sono sempre più sovrapposti - risorse pubbliche essendo scippate da interessi privati - ed e difficile riformare un sistema senza confrontarsi con l'altro. insomma situazione complessa, difficile, apparentemente senza uscita - la crisi appunto. 

allora sono e non sono d'accordo con bernhard. si concorda sul fatto che il sistema di sovvenzioni pubbliche per l'arte è seriamente compromesso e necessita di una soluzione radicale. lui tifa per l'abolizione tout court, dunque tutti sul mercato e buona fortuna - io mi auguro una riforma sostanziale che farà alternativa sia al sistema attuale sia al mercato. ma nel frattempo, finche non si realizzi la riforma, io sposerei volentieri la proposta di bernhard e chiuderei i rubinetti a quelli che hanno usurpato le risorse pubbliche! non come una soluzione permanente ma come uno stato d'eccezione - perché la situazione è veramente critica (si mi rendo conto che è una soluzione un po' bolscevica ma...).

intanto bisogna fare qualcosa subito, sperimentare modelli diversi qui e adesso - un'azione possibile è occupazione, autorganizzazione e autofinanziamento come fanno macao, valle, teatro coppola, etc. FACK invece sperimenta un modello di "occupazione" temporanea, transitoria, il suo autofinanziamento non è basato sul commercio (il bar, quota partecipazione, le sedie comprate poi rivendute, etc) ma sulla gratuita, sul dono appunto - non è evidente lo so... si, lascia sempre qualcuno fuori perché nella situazione economica precaria, ma almeno cambia un po' regole di gioco, fa circolare aria più liberamente, scardina certi meccanismi obsoleti... è una ricerca insomma.

un abbraccio
branko  
     

Thursday, 28 November 2013

FOCUS > sull'intervista a Thomas Bernhard

il 30 ottobre branko ha postato sul mio profilo fb l'intervista a Thomas Bernhard. è iniziata una discussione che pensiamo sia interessante condividere.
paola

caro branko,
l'intervista a bernhard che hai postato su fb mi trova d'accordo in quanto provocazione, come punto di partenza, ma per certi versi la trovo decisamente pericolosa.
bisogna considerare che l'austria non è e non è mai stata l'italia. in austria lo stato è molto presente e l'unico modo per fare arte è avere soldi dallo stato – cosa che da noi non accade. questa mentalità è entrata nel dna di chiunque voglia fare uno spettacolo, scrivere musica o altro - giovane o vecchio che sia. anche gli artisti indipendenti e della scena underground ricevono periodicamente sussidi. qui non è così.

The arts must support themselves. Not even great institutions ought to be subsidized. They ought to operate at the behest of a commercial principle: “Devour or starve.”

l'idea del principio commerciale dell'arte in sé mi troverebbe d'accordo se tutto fosse diverso. in questo momento storico vorrebbe dire cancellare tutto ciò che non è mainstream e solo i comici di zelig o i personaggi televisivi avrebbero spazio.

What we need is a commercial theater scene, then we’ll get, you know, small, self-supporting opera productions, and things will get back to being natural.

certo se tutto si riducesse a piccole produzioni, forse. ma non sarebbe un modo per dettare una legge che non permetterebbe la visionarietà del teatro?
non so.
forse è vero, la soluzione sarebbe azzerare e ripartire da capo.
mi sembra però che il ragionamento di bernhard vada un po’ in questa direzione: non si mette in discussione il rapporto tra arte e denaro, semplicemente si cerca un modo altro all'interno del sistema esistente. 
a me, in fondo, importa poco che qualcuno prenda i soldi dal ministero, che i miei coetanei danzatori percepiscano la pensione. ognuno fa le proprie scelte e la mia è stata quella di non chiedere sovvenzioni ministeriali, di non diventare un burocrate, di non entrare nella logica del sussidio, di vivere solo del "commercio" della mia "arte". e pago le conseguenze della mia scelta così come loro pagano le loro (anche se decisamente più comode). allora, perché non mi basta? qual è il problema? dovrei essere appagata, invece…  
il problema è che il mercato non è libero? che c'è una concorrenza sleale da parte di chi percepisce sovvenzioni statali? che i circuiti sono blindati?
tutte cose vere, ma che sappiamo da sempre.
allora perché adesso? perché la torta è troppo piccola e a noi non restano neanche le briciole?
mi sembra che questa intervista porti la discussione in una direzione che non è quella che stiamo tentando di seguire da mesi, cioè: è possibile un'uscita radicale? e quale?
iniziamo anche eliminando alcuni termini dal nostro vocabolario: produzione - mercato. riguardano il nostro fare?

Wednesday, 27 November 2013

FOCUS> Interview with T. Bernhard by K. Fleischmann





Thomas Bernhard Interviewed by Krista Fleischmann


(Wien 1984)


[...]


FLEISCHMANN: You were trained as an actor.  Has this had any influence on the way you write?

BERNHARD: Probably.  Everything you learn has a huge influence on everything you do.  Of course I was also trained as a businessman; that’s also always played an important role.  I was also trained as a gardener and as a truck-driver, and in both cases I also learned a lot about human beings.  So you come the proverbial full circle and subsequently write a few relatively decent books.  I’m basically not a writer and have never thought of myself as one.

FLEISCHMANN: But rather as…?

BERNHARD: I have always been a real human being at bottom.  The sort of literary writing that [writers] envisage, compose, or whatever, has precious little to do with reality and is actually totally worthless.  You can plainly see that when you open any of their books.  They consist almost completely of worthless rubbish written by people who are sitting in some government-subsidized apartment, collecting a pension, and there their little domestic problems arise, and then they have filing-cabinets, and then they you know make their books, they sew them together like seamstresses.

FLEISCHMANN: How do you make your books?

BERNHARD: I have always been a free man; I have no pension and I write my books in a completely natural manner, in accordance with the way I live, which is guaranteed to be different from that of all these people.  Only a person who is actually independent can actually write well.  If you’re dependent on anybody or anything whatsoever, people will smell it in every sentence.  Your dependency will hobble every sentence you write.  And so there are whole sentences that are hobbled, whole pages that are hobbled, whole books that are hobbled, because people are simple dependents: [dependents on] a wife, a family, three children, ex-spouses, a government, a company, an insurance policy, the boss.  No matter what they write, it always reeks of dependency, and for that reason it’s [always] lousy, hobbled, hamstrung.

FLEISCHMANN: But of course many writers are living below the poverty level; shouldn’t you at least cut them a bit of…?

BERNHARD: […]That’s their own damn fault; I tell you I have always shifted for myself; I’ve never received a subsidy; nobody has ever gone out of their way on my account, from the beginning to the present.  I am against all subsidies, against all pensions, and artists should never receive a penny for free from anybody.  That would be the ideal scenario; then maybe something worthwhile would be produced.  All the doors that artists are trying to pass through should be shut and bolted.  Instead of being given even the smallest handout, they should be kicked out on to the street.  That is never going to happen [here], and that’s why our art is lousy and our literature is lousy.  [These artists] only have to worm their way into any old nook or cranny of some newspaper or governmental department; they start out as geniuses and wind up in Room 463 with its shelf-fuls of paperwork, because they’re cosseted from cradle to grave.  Well, it goes without saying that you can’t write a decent book once you’re in a place like that.

FLEISCHMANN: In other words, there should essentially be no support?

BERNHARD: None whatsoever, as far as the arts go!  The arts must support themselves.  Not even great institutions ought to be subsidized.  They ought to operate at the behest of a commercial principle: “Devour or starve.”  The reason our cultural life is so kaput is that it’s all being propped up.  Such a huge garbage dump can hardly be produced by anybody who’s not being supported from behind by a subsidy, and thereby ruined.

FLEISCHMANN: What about the official state theaters, the Burgtheater for example?

BERNHARD: At bottom they should all be simply gotten rid of.  What we need is a commercial theater scene, then we’ll get, you know, small, self-supporting opera productions, and things will get back to being natural.  You can sum the rule up in one sentence: If it’s subsidized or government-funded, get rid of it.  I would never give a young artist ten schillings, or even one schilling.  He’s got to get out there on his own, and either he will make it or he won’t.  That’s what I did, after all.  But Austria is a subsidizing state, and so of course everything is subsidized, every moron is glutted and bandaged with subsidies, and has his eyes and ears stuffed with government money, so that people cease to see, cease to hear, and finally cease to exist.

FLEISCHMANN: Isn’t it exactly the same in other countries?

BERNHARD: I don’t think so.  Here it’s immeasurably excessive.  And if it exists in other countries, then it’s only a tiny fraction of what it is here.  A writer who can depend only upon himself for support, who has to work, is also a writer who will actually accomplish something.  But if he knows in advance, “Well, I really don’t have to do anything, because my pension from the Ministry, or some other kind of allowance, is already on its way,” then the whole situation is simply hopeless.  Then they all just sit there at their spinning-wheels and wait for their allocation from the ministry, and weave.
                                                                                           
FLEISCHMANN: But a large portion of the expenditures [on the arts] are basically expenses on personnel.  It would at present be a great hardship if people in that sector were, for example, fired.

BERNHARD: Well, some people will have to be fired; some people will also have to come [back] to life; the stages of our major theaters are frequented by actual corpses, there are literally thousands of people [there] who at bottom are chickenfeed and who are simply tolerated.  The theaters must support themselves, [especially] the state theaters.  The very word [“state theater”] is nonsensical.  A theater belongs in a specific building, whose rent and everything else has to be collected on the spot.  As it happens, I’ve got one of those buzzwords [for it]—all buzzwords are, of course, abominable—but, anyway, the word in question, “downsizing,” would in this case actually be appropriate.  Every single one of them deserves to be downsized, right down to the point where they’re invisible.  And if the actors put on good theater, then people will go into the theaters, and then they will manage to support themselves.

FLEISCHMANN: And what if one of these theaters then says, “Thomas Bernhard is demanding too high a percentage of the takings; we’ve got to cut his share back”?

BERNHARD: I am a businessman and I’ll demand, you know, what my product is worth.  It’s like my great-grandfather used to say: “I’m selling butter for this price; if you don’t want my butter and think it’s too expensive, then get the hell out of here.”  And because I hardly ever allow my plays to be performed and even then just once, I’m a relatively low-cost investment.  But for that one time I intend to get as much as Ithink I deserve for the time I’ve spent working on the play.  I’ve never made a fuss as a matter of principle or been a chiseller over what’s due to me [“as an artist”], because that’s all official [claptrap], and I’ve always detested the herd instinct, even [when it comes to getting paid].  Anybody who produces something has a sense of what it’s worth, and you can have it for that price, which I intend to have.  If the price isn’t right, too bad!  That’s the best system there is.  It’s the only one I’ve ever known.  

THE END


Source: Thomas Bernhard--Eine Begegnung.  Gespräche mit Krista Fleischmann (Vienna: Edition S, 1991).

Wednesday, 13 November 2013

F.A.C.K.3 / THE CALL - EN

F.A.C.K.3 / THE CALL

"WHICH WAY OUT? WHICH ART?"

Saturday, November 30 and Sunday, December 1 from 15h

@ Ex-Macello - Via dei Mulini 23/25 – Cesena (Italy)


























F.A.C.K. invites to temporary suspension of artistic / theoretical / curatorial / spectatorial practice in order to meet and debate on art’s status and power in our society marked by a profound structural crisis.

We go back to the drawing board with the question: Which radical way out?
During the last F.A.C.K. #2 event we asked ourselves about the meaning of our actions in relation to the political and economic situation that devastates our being in the world and about possible ways out of it. We opened a debate that has not been in any way concluded. Many felt that what is needed is more time for conversation. In following months, some of us continued the discussion and the necessity appeared for a more open and broad confrontation in order to understand if the sense of unease common to many may lead to a shared paradigm shift or to strictly individual one.
This time another crucial question adds up: which art?

“Take the politics: why does it not finally examine persons’ lives? Not biological life, bare life, which today is continually in question in often vain debates on bioethics, but the various forms of life, the way in which each of us is linked to a use, a gesture, a practice. Also: why art, poetry, literature, are museified and relegated to a world apart, as if they were politically and existentially irrelevant?” (Agamben)

The transformations of society have influenced and shaped so far different artistic languages and the underlying production models. Take the modernist formalist tradition for which art has its own autonomous rules and values not linked to social, political or everyday life. As is known the modernist myth of autonomous art was formed within the nascent 19th century bourgeois society and was the expression of ideological and economic interests of capitalistic elites (it eventually led to the formation of art market as we still know it today). As is sadly known too even the rebellious impulses of the 20th century avant-garde movements, which questioned the given concept of autonomy and sought for alternative languages and models, have been in most cases captured by the system (market), or ether simply marginalized.

Today, within the devastated social landscape that surrounds us are emerging some fresh and innovative cultural experiences in which new models of collaboration, self-organization and self-production are experimented. Those experiences call for radical redefinition of the concept of autonomy and for critical reconsideration of its potential in the present context. Will these emerging micro-models be able to generate the new artistic language(s)? Are they too doomed to being captured or marginalized? Or perhaps is (finally) becoming possible a different art - made by persons (artists or not), for the persons (spectators or not), and solely in the interest of the persons? An art not only truly unhampered from various ideological and economic interests - and in that sense effectively autonomous/independent - but also and above all able to influence and transform the present social paradigm based on profit and exploitation, on domination and exclusion.

On November 30 and December 1 F.A.C.K. meets in public at Ex-Macello in Cesena (Italy) for a shared reflection on those (and other linked) crucial questions. We invite those active in the field of contemporary arts and culture as well as all interested individuals to join the debate (or simply be present). The meeting is open and the debate adopts the form of a round table. Those who wish to participate can confirm their presence by e-mail: f.a.c.k.festival@gmail.com

F.A.C.K. is temporary and transitional, open and collaborative platform-event self-produced and self-organized by participating artists, theorists, curators and technicians. Its aim is to question the contemporary art system and to experiment with new models of organization and production in performing and visual arts. F.A.C.K. explores, both through practice and theory, the critical means for personal and social change within the context of the current crisis. The August 2012 and May 2013 events took place in Cesena (Italy), each lasted about two weeks and included performances, concerts, workshops, debates, film/video screenings and exhibitions with the participants from both Italy and abroad.

contacts
f.a.c.k.festival@gmail.com
+39 338 1889040

info
www.facebook.com/fackfestival
http://fackfestival.blogspot.it/
http://fackfestival.com/

* fragments from the debate on 25 may
first part - https://vimeo.com/77408206
second part - https://vimeo.com/77957681

Monday, 11 November 2013

F.A.C.K.3 / CALL - ITA


F.A.C.K.3 - “QUALE USCITA? QUALE ARTE?”

sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre dalle ore 15
@ Ex Macello – Via dei Mulini 23/25 - Cesena




F.A.C.K. invita alla temporanea sospensione della pratica artistica/teorica/curatoriale/spettatoriale per ritrovarsi e interrogarsi sul fare artistico nella nostra società segnata da una crisi profonda:

“Prendiamo la politica: perché non interroga finalmente la vita delle persone? Non la vita biologica, la nuda vita, che oggi è continuamente in questione nei dibattiti spesso vani sulla bioetica, ma le diverse forme di vita, il modo in cui ciascuno si lega a un uso, a un gesto, a una pratica. Ancora: perché l’arte, la poesia, la letteratura, sono museificate e relegate in un mondo a parte, come se fossero politicamente e esistenzialmente irrilevanti?” (G.Agamben)

Ripartiamo dall'interrogativo "Quale uscita radicale?"
Durante la scorsa edizione di F.A.C.K. ci siamo interrogati sul senso del nostro fare in relazione alla situazione politica ed economica che devasta il nostro stare al mondo. Abbiamo aperto un dibattito* che non è stato in alcun modo concluso. Il tempo per le parole e i pensieri non è bastato. In questi mesi alcuni di noi hanno proseguito la discussione ed è nata la necessità di un confronto più aperto e ampio per capire se il disagio comune a molti può portare a un cambio di paradigma condiviso o strettamente individuale.
Gli interrogativi ora sono: quale uscita? quale arte?

Le trasformazioni della società hanno condizionato e plasmato finora i linguaggi artistici dominanti e i sottostanti modelli produttivi. Il mito modernista dell’”autonomia” dell’arte è stato un prodotto della nascente società borghese (capitalista) e l'espressione dei suoi interessi ideologici ed economici. Anche i fenomeni ribelli – le varie avanguardie - che sperimentavano linguaggi e modelli alternativi, nella maggior parte dei casi sono stati catturati dal sistema istituzionale, oppure del tutto emarginati. Nel devastante panorama attuale stanno d’altra parte nascendo alcune inedite esperienze culturali dove si sperimentano nuovi modelli di collettività, di auto-organizazzione, di autoproduzione, in forte contrasto con il paradigma dominante. Questi nuovi (micro)contesti socio-culturali saranno in grado di generare una prassi artistica radicalmente diversa, o anche essi verranno catturati o emarginati? O sta forse (finalmente) diventando possibile un’altra arte, fatta dalle persone (artisti o non), per le persone (spettatori o non) e nel solo interesse delle persone? Un’arte non solo realmente svincolata dai vari interessi economici e ideologici – e in questo senso veramente autonoma/indipendente – ma anche e soprattutto capace di influenzare, fino a trasformarla, la moderna società basata sul profitto e sul predominio, sullo sfruttamento e sull'esclusione.

Il 30 novembre e il 1 dicembre F.A.C.K. si incontra pubblicamente all’Ex Macello di Cesena, e invita tutti quelli che operano nel campo dell'arte e della cultura, come anche tutte le persone interessate, a intervenire (o semplicemente a essere presenti) nella riflessione. L’incontro adotta una modalità aperta e a cerchio. Chi desidera intervenire può confermare la partecipazione tramite la e-mail di F.A.C.K.
 f.a.c.k.festival@gmail.com

F.A.C.K. è una piattaforma-evento collaborativa e aperta, autoprodotta e autogestita dagli artisti, dai teorici e dai tecnici che vi partecipano, creata per interrogarsi sul sistema dell’arte e sulla società contemporanea e per sperimentare nuovi modelli di organizzazione e produzione nelle arti performative e visuali. Attraverso la pratica e la discussione F.A.C.K. vuole riflettere sui cambiamenti sociali in atto e sulla posizione da prendere nella crisi trasversale attuale. Nel 2012 e 2013 sono state realizzate edizioni della durata di circa 15 giorni, che hanno incluso dibattiti, performance, concerti, laboratori, video proiezioni e mostre, con la partecipazione di artisti, e teorici italiani e stranieri.




Thursday, 30 May 2013

MAJA DELAK & LUKA PRINCIC - sublimation revision - kamizdat


F.A.C.K.2



WANDA & NOVADEVIATOR

SUBLIMATION REVISION - performance audio visuale
KAMIZDAT - just an other DIY label

sabato 1 giugno @ Teatro Valdoca - via Aldini 26 - Cesena

SUBLIMATION REVISION is an experimental audio-visual performance that utilises modulation, granulation and feedback loops on sonic and visual material to arrive at electrifying blend of gentle and brutal always on the border between the abstract and concrete. It draws material from experiments with a/v compression algorithms and custom digital signal processing using free software tools (Linux, Pure Data). Thematically it deals with notions of shame and beside-ness in immersive techno-society and its ethical implications.

We are interested in the process of individual’s subjectification, becoming, actuality, and affective transformation of her/his self-image. We are considering the mechanisms of contemporaneity that co-create and crucially mark our self-imaging, for we are dealing with an intertwinement of the images of the body and of the media that mediate them. In the words of Amelia Jones, we could say that we struggle for activation and not for suppression of our dislocatedness, projection, and identification.

Created and performed by: Luka Prinčič, Maja Delak
Programming: Luka Prinčič
Produced and supported by: WNDV, Emanat
http://wndv.si/w/Projects/SublimationRevision


KAMIZDAT, Just another DIY label
KAMIZDAT is a Slovene netlabel born in 2006 and resurrected in 2013. It covers a broad horizon of genres while maintaining dedication to releases of local artists. Apart from free digital downloads (archive.org & bandcamp) it occasionally forays into releasing physical objects in limited editions sourced from, and collaboratively created by, local crafts-women and men. Our values are do-it-yourself ethos, local action, free software, environmental awareness and critical theory.  http://www.kamizdat.si/
http://www.emanat.si/en/publishing/?tag=kamizdat




fackfestival.com


matteo garattoni - pay me not to act

PAY ME NOT TO ACT – l'attore intimidatorio
liberamente tratto da una storia vera

M., attore, non riuscendo a percepire un adeguato compenso economico dall'esercizio della propria “arte”, sviluppa una modalità “performativa” di estorsione, silenziosa, minimale.
Staziona in corrispondenza di ristoranti e locali, rimanendosene in disparte ad osservare la scena. 
Grazie alle proprie abilità sceniche (l'intensità magnetica dello sguardo, la densità della presenza, la potente carica energetica) turba misteriosamente ed in maniera profonda clienti e personale, compromettendo l'attività commerciale.
Infine otterrà denaro in cambio della propria assenza.




1 giugno 2013 ore 21.00
F.A.C.K. > Forum di Arte e Cultura Kontemporanea
Teatro Valdoca, Chiostro delle Palme
via Aldini 26 _ Cesena
f.a.c.k.festival@gmail.com - mob. 338 1889040

To complete and continue / Jean Christophe Potvin






F.A.C.K.2
30 maggio h21.30 @ ex macello - via roma 62 - Gambettola

To complete and continue / Jean Christophe Potvin / Karlax con NI's Komplete - concerto elettronica

L'essenza di mio concerto con Karlax è la scrittura di una partitura che fa muovere tutto il corpo. Karlax impone una cosa sola: far muovere tutto il corpo e creare una linea musicale elettronica che finora si poteva ottenere solo cliccando, cliccando con 60 mouses contemporaneamente però. Mi muoverò quanto possibile per restituirvi al massimo una musica elettronica che fin cui era statica per il musicista.

La partitura oggi resta un oceano pieno di continenti da scoprire. Suonerò pezzi programmati con i strumento di Komplete e Reaktor sopratutto, su una piatta forma Live. Sono sempre in ricerca di compositore/programmatore che si interessano a scrivere per Karlax. Oggi è Remi Dury che ci offre i suoi ritmi, i suoi synth da sentire.
Jean-Christophe Potvin

fackfestival.blogspot.com
fackfestival.com

Wednesday, 29 May 2013


matteo garattoni > intervista a Carlo Cecchi - 

pay me not to act

Qualcosa attorno a PAY ME NOT TO ACT,1 giugno 2013 h21, Teatro Valdoca, Cesena - performance di e con Matteo Garattoni.
Nell'intervista Carlo Cecchi commenta la barzelletta "La bionda va dal parrucchiere", discusso paradigma del ruolo dell'artista e dell'arte nel contemporaneo. 


Di seguito il testo completo e l'analisi: 

Una bionda va dal parrucchiere. Siccome indossa le cuffie, il coiffeur la invita a toglierle, ma lei rifiuta, dicendo che senza di quelle morirà. E' davvero spaventata, e solo insistendo il parrucchiere riesce a fargli togliere le cuffie e cominciare il lavoro. Dopo qualche minuto la bionda scivola a terra, esanime, morta. Stravolto, il parrucchiere raccoglie le cuffie, tremando le porta all'orecchio e sente una voce: “... inspira … espira … inspira … espira...




In questa barzelletta, secondo diversi maestri della scena contemporanea, sono racchiusi molteplici sensi del teatro, ovvero della dimensione performativa - e dell'arte in generale.
La “bionda” rappresenta l'infinita fragilità e bellezza dell'essere umano, l'imperitura ed affannosa ricerca di soluzioni alla nausea, allo spleen, al mal de vivre. La voce all'interno delle cuffie è il tentativo, da parte di ciascuno di noi, di sopravvivere alla quotidianità fine a se stessa, di credere ad una dimensione escatologica, di salvezza. Il parrucchiere svolge il ruolo dell'artista, che mette in dubbio, sdrammatizza o pone definitivamente in ridicolo le strategie umane, rivelando gli escamotages - esistenziali, culturali, politici – e smascherando la loro inefficacia.
Ma l'arte è allo stesso tempo tutto questo: la rappresentazione che ci permette la catarsi.

www.matteogarattoni.com

Tuesday, 28 May 2013

Adele Cacciagrano > L'ALTRO TEATRO




F.A.C.K.2

ADELE CACCIAGRANO > L'ALTRO TEATRO 

proiezione + dibattito

Venerdi’ 31 maggio h18/20

@ Cinema S. Biagio – Via Aldini 24 – Cesena


L'Altro Teatro - documentario televisivo ideato e creato dai critici Giuseppe Bartolucci e Nico Garrone con la regia di Maria Bosio, prodotto da Angelo Guglielmi per la Rai Radiotelevisione Italiana nel 1980. Il documentario e’ stato trasmesso sulle reti Rai nell’81, diviso in tre puntate: «I protagonisti delle Cantine», «I Comici ed Altri protagonisti» e «Teatro in Periferia e Festival dei Poeti».
L’incontro si apre con la proiezione del montaggio estratto dalle tre puntate così come è apparso, sotto forma di extra, nel dvd Estate Romana - commedia prodotta da Fandango nel 2000 per la regia di Matteo Garrone, figlio del critico Nico che e’ co-realizzatore con Bartolucci del documentario.

Risulta interessante notare l'aporia e la drammatica decadenza di quella che nel documentario viene esaltata come un'età dell'oro della sperimentazione teatrale italiana -  più o meno dall'inizio degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta - all'odierna obsolescenza e decadenza di quegli stessi protagonisti che avevano all'epoca proposto il rinnovamento – decadenza che si rende visibile in alcune scene tratte dal film del 2000 e interpolate nel documentario.
E non si tratta solo di una questione di invecchiamento anagrafico, fatto che paradossalmente arriva alla percezione in seconda battuta. Quello che risalta è proprio una sorta di calcificazione e atrofizzazione di alcune pratiche contestatarie che sono state del tutto riassorbite dal sistema oppure - e l'effetto è lo stesso - disinnescate nel loro potenziale alternativo, divenendo esse stesse forme secondarie di routine e di nuova norma.

È interessante anche notare come già all'interno di quella stessa età dell'oro il documentario traccia una sorta di linea frangiflutti percepita dagli stessi protagonisti. Già nel 1980 nella loro percezione si venivano a individuare un prima e un dopo - ovvero almeno due fasi di contestazione del sistema teatro, in netta contrapposizione tra loro. La primissima forma di rottura, costituita dalle esperienze di fuoriuscita delle cantine romane, costituisce infatti per i protagonisti della seconda ondata creativa degli anni Ottanta un sistema esso stesso da mettere in discussione e da ricreare. Le cantine vengono colte in una fase di istituzionalizzazione, cominciata sin dal 1972-73, cosicchè la fuoriuscita, quando avviene, sarà questa volta all'insegna dell'extra-teatrale tout court seguendo il diktat del post-modernismo, in direzione tanto delle periferie culturali e tematiche (quindi non  più il teatro come ambito privilegiato di azione e di riferimento), tanto di quei non-luoghi che si estendono ai confini o all'interno stesso delle diverse città.

Tematiche di riflessione nel dibattito
- Sistematicità/endemicità della crisi nell'organizzazione teatro
- Fuoriuscita dal sistema e creazione di circuiti alternativi
- Problematicità delle cooperazioni all'interno dei nuovi circuiti e organismi. Come superare tali difficoltà?
- Superamento dei confini disciplinari e contaminazioni tra le arti
- Funzioni della critica: talent scouting e consolidamento-rafforzamento del nuovo


fackfestival.com
fackfestival.blogspot.com
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info: 338 1889040

ABBANDONO Installazione audiovisiva> fucina monteleone_ Luca Berardi


Domenica 2 giugno,  Cesena, Teatro Valdoca dalle h16 alle h 21 

“Di fronte allo smarrimento del mondo,
mi rifugio in una visione dell'alterità, fuori dal tempo.
Perchè, invece di ambire a un luogo rivoluzionario
c'è questo abbandonarsi, questa sospensione dal mondo?
Propongo un rifugio che rinnego.”




“Abbandono” è un progetto installativo che esplora il concetto dell’altrove. Originariamente pensato come a un lavoro sulla trance, si è concentrato sull’estasi che ne consegue, sulla sospensione, sull’abbandonarsi, termine che attutisce l’alterazione sostanziale di coscienza che si ha con l’estasi e lo riconduce a una possibilità della coscienza ordinaria di trovare un altrove qui. 
Si compone di due situazioni : “ Un altro mondo”, videoproiezione e “Volti”, installazione ambientale

Videoproiezione “UN ALTRO MONDO”
Film  con materiuali di repertorio,  tra visioni di case abbandonate e un vecchio filmato ambientato nel versante romagnolo della valle appenninica di Pietrapazza, all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Il video fa parte del progetto Refugee/Stati d’esilio - Epifanie, a cura di Isabella Bordoni ed è edito nel libro d’artista a tiratura limitata “REFUGEE| ARCHIVIO1”.

Dvd, film found footage, 14’, 2012
Regia e montaggio: Luca Berardi
Musiche originali: Chris Yan
Materiale d’archivio: “Le valli del tramonto”, super 8 di Romano Serafini, ex parroco di Pietrapazza , girato negli anni 1960 – 1961
Testi: Luca Berardi
Voce fuori campo: Gianni Gozzoli
Sottotitoli in inglese: Claudia Placuzzi e Samantha Landan
Produzione: progetto “Refugee/Stati d’esilio.Epifanie” di Isabella Bordoni


Installazione VOLTI
Proiezione in loop su quattro televisori , casse di legno, sassi

Volti dei musicisti: Pepe Medri, John Serry, Francesco Guerri, Christian Ferlaino
Riprese: Elena Prati
Le riprese sono state effettuate presso il Circolo Arci “Magazzino Parallelo”, di Cesena (Fc) nell’anno 2011
Sonorizzazione ambientale: musica popolare marocchina Gnawa

Incontro> Isabella Bordoni - Progetto Refugee - Around a table


 Domenica 2 giugno, Cesena, Chiostro delle Palme h16.30 

REFUGEE. Stati d'esilio|Epifanie [2011-2014]
è un progetto che affronta anche attraverso soggiorni in ambienti naturali o urbani, con periodi di cammino e incontri i concetti di “patria” e di “cittadinanza”, le pratiche dell'amicizia come politica civile. Assumendo il lascito di Hannah Arendt, che ci insegna che amicizia è quella pratica più-che-politica di fare, insieme, discorso. Si tratta di un percorso pensato per abitare la soglia tra parola e azione, lo spazio biopolitico dei corpi nella relazione con il linguaggio e il paesaggio.

REFUGEE è partito dal Montefeltro, è approdato nell'estate 2011 in Alta Val Susa, passato nell'inverno 2011 dalla Valle Tanaro ha sostato sui confini di Stati, cercato le montagne e i suoi immaginari, identità, prospettive della luce, utopie, ritorni. Interessa capire del “rifugio” come spazio fisico e del "rifugiato" come condizione, le implicazioni di senso che vanno dal politico al poetico, dall'essere luogo e atto di resistenza, resilienza, ri-esistenza, a luogo del riparo, a quello dell’esilio, tra scenari della lontananza, nomadismo e approdi. Tra paesaggio e tempo, interessa anche ibridare e comprendere le pratiche e le politiche del lavoro materiale e immateriale.

Nell'agosto 2011 la sezione di lavoro e cammino in Alta Val Susa ha fatto base in un rifugio a quota 2.035 metri, guardando ai confini nazionali le resistenze di ieri e di oggi tra montagna e mare. Con me, Antonio Cipriani (scrittore), Luca Berardi (video), Erika Lazzarino (antropologa), Luca Francesco Garibaldo (architetto), Davide Dutto (fotografo), Maria Nadotti (scrittrice), per condividere, ascoltare, guardare e restituire nel tempo un discorso di immagini e parole. Il percorso ha dato vita al libro d’artista REFUGEE|ARCHIVIO1.




REFUGEE|ARCHIVIO1
Stampato in 100 esemplari numerati e firmati, il libro d'artista REFUGEE|ARCHIVIO1 è frutto della felice collaborazione con la stamperia. L'Artistica Savigliano (Cn), che ne è l’editore e Lab80 centro di ricerca e divulgazione del cinema documentario, che ha stampato il dvd allegato. Il libro d'artista consiste in un box cartonato di 25 cm x 17,5 cm, comprende cartelle di testo composto in Linotype con carattere Garamond, stampato in tipografia su Heidelberg a stella; oltre ai testi scritti da me, Antonio Cipriani, Maria Nadotti, contiene tre fotografie di Davide Dutto, un dvd con video di Luca Berardi e musiche di Christian Mastrianni, mappa di Erika Lazzarino e Luca Francesco Garibaldo. Questo il gruppo coinvolto nella sezione del progetto, che su mio invito e coordinamento ha trovato in una porzione delle Alpi Occidentali (dall'Alta Val Susa alla Valle Tanaro) un luogo dove mettersi in ascolto e in cammino.

Il progetto REFUGEE. Stati d'esilio|Epifanie continua varcando la soglia che già aveva attraversato, nell'arco Alpino poi guardando al Mediterraneo e alle coste di un altro continente. Di questi nuovi tratti di strada e di vita che REFUGEE si appresta a compiere, mi è impossibile oggi perfino prevederne le forme. Conosco però l'attitudine che mi muove, che ancora è quella di stanare il poetico nelle pieghe del mondo e fare, di questa scalfittura, esperienza. Esperienza anche dell'arte, perché quella domanda che già mi e ci ha messo in cammino – se corpo e paesaggio possano essere luoghi e tempi di utopia –chiede l'impegno e il rischio dell'abbandono.

“Se non pensiamo lʼessere stesso, lʼessere dellʼesistenza abbandonata, o lʼessere dellʼessere-nel-mondo come ʻlibertàʼ (e forse come una libertà e una generosità più originaria di ogni libertà) siamo condannati a pensare la libertà come unʼidea e come un ʻdirittoʼ puri, per concepire in compenso lʼessere-nel-mondo come una necessità assolutamente cieca e ottusa”. Jean-Luc Nancy, Lʼesperienza della libertà



Le maniere nelle quali si è svolta questa sezione del progetto sono fondate sulla gratuità, fino e incluso l’incontro con un editore. Stampate a fine luglio 2012 da L’Artistica Editrice, le 100 copie di Refugee|Archivo1 numerate e firmate, sono in vendita o direttamente al sito dell’editore http://www.lartisavi.it/node/679 o presso le librerie che ne dispongono in conto vendita. A Rimini la Libreria Riminese di Mirco Pecci. Chi potrà comprare il libro-cofanetto lo comprerà e farà un gesto anche collettivo. Accademie, gallerie, biblioteche, musei, università, teatri, luoghi di piccole e grandi comunità permanenti o temporanee, festival, luoghi dove si intrecciano incontri ed eventi, spazi di azione civile, a loro soprattutto si rivolge l’invito a pensarne l’acquisto come bene comune e proprietà collettiva. D’accordo con l’editore abbiamo deciso di disporre di alcune copie fuori commercio, identiche a quelle in vendita ma non numerate e firmate. Alcune di queste hanno raggiunto in dono alcune persone che per noi sono di formazione e riferimento. Altre sono affidate a testimoni che lo ricevono in lettura e in visione e che poi lo passano ad altre seguendo un filo che si tesse di mano in mano.