Sunday, 19 July 2015

What For? > contributi - Tutta l'Italia e' paese - da Roberta - Cavallerizza Reale Assemblea 14:45
















TUTTA L’ITALIA E’ PAESE

Le politiche applicate a Torino hanno molto in comune con quelle applicate a Rimini, Napoli, Roma, Palermo e così via.
E’ la politica Renziana (liberista) che sta invadendo tutte le nostre città senza alcuna riserva, in modo piuttosto veloce anche.
Il grande Partito Democratico, che aspira a diventare Partito della Nazione, facilitato dalla grande spianata applicata dagli anni di Berlusconi, sta facendo passare riforme del lavoro e della scuola, costruzione di grandi opere e grandi eventi senza difficoltà alcuna.
Molti di noi si chiedono come sia possibile che il Governo promuova il lavoro volontario, si pensi ai 18.000 volontari per Expo2015 e al Jobs Act che lo regolamenta ad esempio, e farlo, di nuovo, senza difficoltà alcuna. Senza incontrare una contestazione massiccia da parte dei cittadini che di fatto sono sempre più privati dei propri diritti lavorativi.
Ebbene il procedimento è molto semplice.
Se un tempo la politica si esponeva con espressioni forti, in molti casi poco concilianti, in alcuni provocando addirittura torture, Tortura: come sancito dalla Corte Europea sui diritti dell'uomo in merito del blitz avvenuto alla scuola Diaz nel 2001 durante il G8 di Genova. 
Oggi tutto ciò si relaziona con un linguaggio incentrato su ciò che è politicamente corretto, ma di fatto con un livello repressivo ben più alto. Il tutto, purtroppo, con un altissimo consenso.
Veniamo ora a quanto sta accadendo a Rimini che in questi giorni ha modo di essere monito per molti e diamo un paio di cenni per contestualizzare la situazione.
Casa Madiba occupa con famiglie, in emergenza abitativa, ed artisti, uno stabile comunale. Il Comune di Rimini gli propone di uscire, di ristrutturare lo stabile e di partecipare al bando che avrebbe creato apposta, al quale avrebbero avuto accesso tante altre associazioni, ma facendogli capire che glielo avrebbe dato in concessione diretta (politicaly correct n.1). Casa Madiba risponde con un serenissimo “no”. Perché dopo anni di promesse disattese la fiducia è venuta a mancare; ma poi, anche se fosse ancora in vita quel patto che dovrebbe esserci fra cittadini e amministrazioni comunali, in ogni caso l’assegnazione diretta avrebbe reso il bando l’ennesima farsa. Arriva così lo sgombero con botte e denunce e di nuovo le famiglie sono senza una casa, per la strada.
Casa Madiba e gli artisti che la seguono, insieme alle famiglie occupano un altro spazio, una vecchia casa di una contessa che lasciò con il suo testamento la casa al Comune a patto che all’interno si creassero attività rivolte al sociale. In tutta risposta il Comune la lascia disoccupata per almeno otto anni. E per rimarcare la menzogna millantata con la proposta del bando sull’altro spazio, il sindaco risponde con una forte pressione alla Prefettura richiedendo di sgomberare anche la nuova casa occupata.
Questo sindaco però è uno che ha fatto del politicaly correct la sua vocazione, come del resto quello di Torino o di Milano ad esempio, ed in collaborazione con il Festival Santarcangelo, famoso in tutta Italia per i suoi spettacoli di teatro, decide di organizzare una rassegna al Cinema Astoria di ben dieci giorni, così da poterlo riaprire a tutta la cittadinanza, dice lui (politicaly correct n.2).  
E invece quel cinema non sarà per la cittadinanza tutta, bensì verrà assegnato alla direttrice del Festival Santarcangelo, alla compagnia teatrale Motus e al centro di produzione L’Arboreto di Mondaino. I quali senza dubbio costruiranno iniziative per i cittadini, ma di fatto lo spazio rimarrà chiuso alle politiche gestionali di una direzione artistica composta da un numero irrisorio di persone, rispetto a quelle che si contano a Rimini.
E le famiglie di Casa Madiba? E quegli artisti che creavano in quei luoghi occupati e liberati dall’incuria e dal degrado per essere riutilizzati da chi aveva un bisogno reale?
Loro hanno deciso di costruire una Taz (zona temporaneamente autonoma) per sottolineare quanto sia illogico sgomberare le persone da spazi comunali dimenticati dalla stessa amministrazione e al contempo parlare di riapertura di spazi per i cittadini.
Ricapitoliamo: da una parte il Comune di Rimini si fa promotore della riapertura di spazi alla città e dall’altra si fa promotore di sgomberi.
Anche a noi sembra un controsenso, senza stupirci troppo però, siamo diventati dei buoni osservatori della comunicazione renziana che dice tutto e fa il contrario di tutto.
Purtroppo le problematiche sono tante e in tutta Italia sono sempre di più, ma i livelli su cui le situazioni e le realtà ruotano sono sempre gli stessi, che ogni volta ritornano: costruzione del consenso di massa, vendita del patrimonio artistico e culturale con annessa distruzione dell’articolo 9 della Costituzione, corruzione politica e distruzione dei territori.
Noi pensiamo che il meccanismo sia ben congegnato e per niente lasciato al caso.
A Rimini stiamo assistendo al primo punto da noi citato: la costruzione del consenso di massa.
Ma il disegno è ben più ampio di quanto sta avvenendo a Rimini. La volontà è di inglobare il dissenso con il fine di sedarlo ed eliminarlo, il tutto per riuscire a far passare riforme come “jobs act” e “buona scuola” o di poter continuare a portare avanti grandi opere come Tav o Expo. Le prime distruggono i diritti dei lavoratori e coltivano nuove generazioni di cervelli senza critica, mentre le seconde permettono che il flusso economico delle casse dello Stato si dilegui in quelle che sono di fatto delle Maxi Tangenti.

Che cosa ci resta vi chiederete. La determinazione e la voglia di continuare a fare lotta, a produrre dissenso in modo reale. A mostrare che non c’è stata riappacificazione alcuna. Che non si è affatto soddisfatti che vengano riaperti dei luoghi e dati in gestione a pochi, per poi allo stesso tempo cercare di nascondere l’alto tasso di emergenza abitativa.

Come dire si possono anche controllare i mass media tanto da far produrre informazione condizionata, il problema però è che sotto al tappeto si potrà anche nascondere la sporcizia, ma non di sicuro le persone con le loro necessità, i loro diritti e la loro voglia di creare collettività e comunità diverse. 

(Torino, Giugno 2015)

Thursday, 16 July 2015

WHAT FOR? > contributi - Lettera di Bifo
















Lettera di Franco Berardi Bifo

(...) Sinceramente parlando, credo che dovremmo fermarci a riflettere. 
Intendimi bene, sono del tutto solidale con quello che farete (qualsiasi cosa facciate) il 26 27 28. E non credo che le lotte disperate frammentarie di questi mesi si possano fermare.
Il corpo fisico della società, colpito dall'austerità, dalla miseria, dagli sgomberi, dalla violenza poliziesca, reagisce rabbiosamente. Disperatamente, perché non c'è speranza nelle lotte di questi anni. Non c'è speranza, non c'è strategia non c'è solidarietà.
Gli sfrattati reagiscono agli sfratti, gli insegnanti alla legge di privatizzazione di Renzi, gli operai licenziati di una fabbrica reagiscono al licenziamento ma quelli della fabbrica accanto stanno zitti, in attesa che il licenziamento arrivi anche da loro. E alla fine tutti perdono.

E' l'effetto della precarietà generalizzata: ciascuno è solo, e pensa alla sua condizione. Ciascuno compete con i suoi colleghi. Non esistono compagni, solo concorrenti.
Il mio non è un discorso moralistico, meno che mai un discorso nostalgico. Riconosco che la composizione sociale è mutata in tal modo che il modello della solidarietà, della lotta unitaria, della strategia comune non si può realizzare. E allora ogni volta che siamo colpiti siamo soli, e l'intensità della nostra risposta è disperata.

Negli ultimi mesi del 2014 ho fatto un viaggio in California e in Messico, e ho incontrato gruppi di studenti, di poeti, di militanti - con i quali ho progettato un'azione di comunicazione che si chiamava urgeurge.
Il progetto si è rapidamente sgretolato, perché non esiste più Internet esiste solo Facebook, e anche perché dei cinquanta giovani compagni coi quali avevo parlato durante il mio viaggio solo due o tre hanno continuato a collaborare al progetto.
Io so bene che il problema di tutti è quello di sopravvivere, per cui l'entusiasmo per un progetto svanisce presto quando ci si trova a fare i conti con l'isolamento della vita quotidiana.

E allora? Allora non credo che ci sarà modo di fermare l'offensiva nazi-liberista per la semplice ragione che quell'offensiva è già passata, tutta. Ora siamo solo agli ultimi ritocchi, e poi la società continuerà a impoverirsi, e la gente a disperarsi nell'isolamento, e i ragazzi a impiccarsi.
Questo è. Non possiamo fare altro che analizzare, capire, descrivere.
E poi?
Cosa si fa quando non c'è più niente da fare, quando la composizione sociale e il ricatto economico e la depressione psichica rendono impossibile ogni processo di soggettivazione cosciente e collettiva?
Questa è la domanda da porsi.
La mia risposta è che solo la guerra ormai può creare le condizioni di un processo nuovo. La guerra, il trauma.
Da molto tempo sono convinto del fatto che la Jugoslavia degli anni '90 è il modello del continente europeo alla fine di questo decennio. La guerra ai migranti, la guerra tra diversi paesi sulla questione migrante, la guerra ucraina, presto la guerra greca, e la guerra ungherese, e la guerra turca... tutto questo si va saldando in un fronte generale di guerra civile europea che dobbiamo saper leggere dietro le apparenze di una vita quotidiana ancora tranquilla.
La questione è la stessa questione che Lenin affrontò dopo il 1914: trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Ma i termini del problema sono tutti mutati: diversi sono gli armamenti, diversi gli attori, diversi i fronti, diversa la posta.
Dobbiamo comunque abbandonare le illusioni, abbandonare l'illusione di una ripresa economica, abbandonare l'illusione che esista una sinistra, abbandonare l'illusione che sia possibile mantenere quel poco di pace che ci sembra ancora di avere.
Dobbiamo prepararci alla guerra, perché non vi è più altro orizzonte.

Ma non basta. Occorre anche sapere che il territorio su cui il processo di autonomia può riaprirsi non sarà simmetrico a quello della guerra. Non si tratta di procurarsi armi, di imparare a sparare. A chi, poi?
Il processo di liberazione si svolgerà interamente sul terreno della tecnologia, del lavoro cognitivo e della sovversione del paradigma lavorista. La liberazione dal lavoro salariato, la riprogrammazione della macchina intellettiva globale, la redistribuzione globale della ricchezza.
Questo è il terreno su cui si dovranno convocare le forze dell'intelligenza collettiva. Ma solo a partire della guerra si riaprono le condizioni perché un simile processo possa diventare efficace.

Un abbraccio a Franca di Bertinoro, e un saluto a tutti i compagni che saranno a Rimini per dire ai collaborazionisti democratici che il loro cinismo non basterà a salvarli, perché l'apocalisse è più potente delle banche. E abbiamo la memoria molto lunga.

Tuesday, 14 July 2015

WHAT FOR? > contributi - Roberto Ciccarelli / Quinto Stato


C’è speranza se questo accade a Casa Madiba

PUBBLICATO 26.6.2015, 12:01

Siamo a Rimini, a Casa Madiba. Sgomberi e occupazioni per il diritto alla casa, politiche dell’accoglienza, grandi eventi come Expo, l’uso cosmetico dei beni comuni, marketing del territorio e della produzione culturale. Questa è una storia di resistenze e di un nuovo modello sociale.

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Casa Madiba era un edificio occupato in via Dario Campana a Rimini, di proprietà comunale, occupato da un anno dai movimenti impegnati nelle politiche dell’autogestione, della produzione culturale, nella lotta per la casa e nella solidarietà attiva con i migranti.
Lo sgombero. Si rioccupa
il 20 maggio Casa Madiba è stata sgomberata. Il comune di Rimini ha sostenuto di volere mettere a bando l’edificio “a fini sociali”. “Sarà oggetto entro il mese di giugno 2015 di un intervento di riqualificazione e messa in sicurezza in vista di un suo specifico utilizzo a fini sociali e di volontariato privato — ha confermato quel giorno l’assessora Sara Visintin - Ciò avverrà con una procedura di assegnazione dell’immobile attraverso evidenza pubblica”. La decisione ha messo in difficoltà Rifondazione Comunista, il partito di cui Visintin fa parte, che ha proposto: “una convenzione per consentire la ripresa immediata delle attività e della dimensione sociale e politica ospitata nello stabile”.
Agli attivisti di Casa Madiba è stata proposta una convenzione, che oggi sembra diventata una procedura di assegnazione con la formula dell’istruttoria e non del bando. Una strada che non ha convinto gli attivisti di Casa Madiba che hanno reagito. Il 23 maggio un corteo di protesta contro lo sgombero si è concluso con l’occupazione del Villino Ricci. Una risposta determinata che accende la discussione in città. Il sindaco Gnassi ne chiede lo sgombero. Nel frattempo i venti migranti (tra i quali ci sono anche bambini) in emergenza abitativa ospitati nell’occupazione precedente hanno ritrovato una casa.
Tecniche di governo
Il conflitto cresce e vengono adottati gli strumenti della diffamazione già visti negli ultimi tempi per colpire altre occupazioni abitative, ad esempio a Roma. Il 12 giugno scorso il Resto del Carlino pubblica questa notizia: “Pentito di Casa Madiba denuncia si pagava per dormire nella casa occupata”. La notizia è stata pubblicata dall’Ansa, precisando che la richiesta sarebbe stata di 400 euro. La procura a Rimini ha aperto un fascicolo per violenza privata ed estorsione. Questa è la ricostruzione degli attivisti che descrivono un quadro preciso della lotta contro l’emarginazione sociale e come, davvero, vive chi — migrante, profugo, senza casa — non ha diritti e viene perseguitato dalla retorica xenofoba della “ruspa”.
“Procura e Questura hanno usato un alcolista anonimo precedentemente accolto ed allontanato dall’assemblea di autogoverno di Casa Madiba  - scrivono gli attivisti in una nota — a seguito di ripetuti episodi di violenza a danno di altri ospiti, attivisti e struttura — per sferrare un attacco inquietante. Alludere al fatto che il progetto di accoglienza degna per i rifugiati e gli homeless della città, nato intorno al progetto di Casa Madiba,  lucrasse su tali emergenze e disagi di natura abitativa”. “Nessuno ha mai pagato per stare a Casa Madiba. Casa Madiba grazie all’attività di autofinanziamento, ha contribuito con vitto e alloggio per gli ospiti e ha inoltre contribuito alle spese di rinnovo dei documenti. Quando poi i soldi non bastavano li abbiamo tirati fuori di tasca nostra”.
A smentire la ricostruzione pubblicata dalla stampa i racconti crudi degli ospiti: “Sono rimasto scioccato dalle parole del Carlino – ha detto un ospite kenyano – abito lì da un anno e posso dire che non solo non è vero quello che dice il giornale, ma è l’esatto contrario. Sono loro che pagano per noi”. Un ragazzo nigeriano: “Come faccio a pagare Casa Madiba che non ho soldi neanche per me? Non ci fossero stati loro non saprei dove sarei adesso”. Un altro: “Non si può trasformare un’azione umana in una delinquenza”.
Il Doppio Stato
E’ la condizione di chi vive, e opera politicamente, in una società dove le politiche dell’accoglienza sono diventate oggetto di imprese criminali, dove la cooperazione è diventato un modo per sfruttare finanziariamente la vita di profughi e migranti, mentre le politiche dello stato sociale vengono cancellate e ciò che resta trasformato in politica securitaria. E’ il dispositivo che ha portato alla creazione della rete criminale di “Mafia Capitale”, a Roma come in tutta Italia. Nel descrivere questo dispositivo gli attivisti hanno usato un’espressione di Stefano Rodotà in questa intervista: «Il doppio stato oggi è un modo consolidato di gestire il potere. Lo abbiamo visto all’opera all’Expo, al Mose, e in altre città. L’illegalità non è un fenomeno marginale, è centrale nella vita dello Stato». Non un dispositivo relegato solo allo sfruttamento biopolitico dei migranti, ma un vero sistema di potere, complesso e stratificato, non omogeneo ma proliferante, dentro il perimetro della cosiddetta legalità e operante con strumenti extra-legali.
Arriva Expo
Questa analisi gli attivisti di Casa Madiba la svolgono rispetto a “Rimining”, un cartellone di iniziative artistiche e culturali. Rimining — si legge in uno dei lanci promozionali dell’iniziativa — è un’operazione di branding pensata per promuovere Rimini in vista di Expo. Un calendario di eventi fra i quali la Notte Rosa alla Molo Street Parade, concerti, cucina, la Sagra Malestiana, fiere come la Festa della Rete, o quelle dedicate ai bambini con il logo del festival Mare di Libri al Cartoon Club. “Rimining” è un modo per fare “marketing del territorio”, usando il “brand” di Expo, dentro le filiere nazionali costruite in occasione di questo “grande evento” che aspira a cambiare il bene di riferimento per un capitale malmesso come quello italiano: il “made in Italy”.
La trasformazione di un territorio in intrattenimento generalizzato– una tensione non certo estranea a Rimini e alla riviera romagnola — rientra in un sistema di governo del territorio. Per gli attivisti di Casa Madiba — che alle forme di “coabitazione” associano quelle di “coproduzione culturale” — si tratta di un “danno al territorio”. Rimining è “l’esito di una governance top-down che sfrutta il brand”. Sotto la veste apparentemente “leggera”, si nasconde un’economia capitalistica di tipo estrattivo e di appropriazione.
Al centro di questa critica c’è il Coconuts, Il locale di punta della “Rimining”. Il 9 giugno scorso, il Coconnuts è stato chiuso per un mese, sono stati effettuati 20 arresti per un giro di cocaina. Secondo gli inquirenti un pusher arrivava a vendere 1,5 chili di cocaina in una serata. Il difensore del proprietario del locale lo spaccio sarebbe avvenuto “fuori dal Coconuts” e ha definito “eccessiva la sospensione di un mese delle attività”: “come la mettiamo con le sponsorizzazione col logo Coconuts fatte da Rimini nelle campagne nazionali per Notte Rosa e Molo Street Parade?” ha domandato il legale. Cioè con alcune delle iniziative comprese nel cartellone “Rimining” nella cornice dell’Expo.
L’uso cosmetico dei beni comuni
Altro elemento utile per comprendere come lo sgombero di un’occupazione abitativa influisca in realtà su una governance che mette insieme relazioni politiche,politiche dell’accoglienza e produzione culturale, gestione del territorio e del brand di una città votata all’intrattenimento, sono i beni comuni. Nell’ambito del Rimining, mentre Casa Madiba veniva sgomberata, è stato riaperto il cinema Astoria abbandonato da anni. Il comune ha concesso un patrocinio a un’iniziativa che riprende gli slogan della partecipazione e dei beni comuni sviluppati nell’ambito dei teatri occupati. Quelle formule che piacciono alle amministrazioni di “centro-sinistra”, depurate però dei movimenti, dei processi di auto-governo e di partecipazione della cittadinanza.
In questo caso, per Casa Madiba, i beni comuni a Rimini servono all’amministrazione per “riabilitare la propria immagine nonostante le pratiche di repressione attuate nei confronti delle esperienze territoriali realmente autogestite e partecipate”. “Si prepara — aggiungono — l’assegnazione concordata del Cinema Astoria a lungo termine, in modo diametralmente opposto agli impedimenti avanzati per l’assegnazione dell’edificio sequestrato dopo lo sgombero di Casa Madiba, per il quale sembrano imprescindibili procedure quali il bando o l’istruttoria”.
Rimini calling: for what? 
<L’uso cosmetico dei beni comuni, così come la loro riduzione a mero decoro urbano e sfruttamento del lavoro volontario dei cittadini, è un problema centrale oggi per chi si interroga sulla crisi della democrazia e le politiche dell’austerità. Un uso che Casa Madiba intende decostruire nell’iniziativa“Rimini calling: What For?”, una tre giorni di iniziative definito “Laboratorio internazionale migrante delle politiche territoriali attive”, da oggi fino a domenica.
Roberto Ciccarelli