Giorni di straordinaria democrazia
“How beauteous mankind is! O brave new world that has such people in't!”
A Rimini arriviamo costeggiando il mare. D non c’è più, è partito verso il nord. Il mare lui non riesce più neanche a vederlo. Né a respirarlo. Vertigini e perdita di conoscenza. Quella notte solo il suo barcone ce l’ha fatta. Meglio cambiare aria, e riprendere il largo, rituffandosi verso luoghi di non-ricordo. D l’abbiamo conosciuto qui, a Macao, mentre annaspavamo nei nostri, nei loro “mayday”. Parla pochissimo ma abbastanza da lasciarci almeno immaginare che solo la narrazione diretta di quelle fughe può restituirne un’idea tangibile. Nei suoi racconti i passi del lavoro nero, dello sfruttamento, del ricatto, affondano la stanchezza, ridisegnando nuove frontiere. Lavoro. È proprio nel lavoro che si trovano forme collettive di resistenza. Così il 25 aprile Casa Madiba si riempie di migranti, attivisti, artisti, per compattarsi partendo da What for? Cosa facciamo per chi? Una domanda semplice che apre la complessità dello stare in democrazie apparenti fondate sulle schiavitù del lavoro. Lacci capaci di soggiogare andando ben oltre qualsiasi demarcazione culturale. Il discorso parte da diversi incipit, migranti impiegati nei reparti di logistica, sindacati in cerca di altre letture antropologiche, intellettuali artisti e tecnici che sperimentano nuovi percorsi di coproduzione culturale, per confluire sull’imposizione del lavoro come condizione di frustrazione diffusa, che sottrae vita sottraendo tempo. È nel mondo semisommerso del lavoro che si ripercuotono vecchi sistemi repressivi, oggi resi più forti dai disequilibri contrattuali, dalla compartimentazione prodotta dagli specialismi che vorrebbero legittimare ogni situazione lavorativa “come un caso a sé”. A Casa Madiba ripartiamo invece dal sé, non solo come sfera del saper fare ma come sfera del proporsi. Le barriere riappaiono come valichi intra-soggettivi, “il filo si è rotto perché Arianna si è impiccata”. C’è bisogno di riscrivere una diversa narrativa, cercando di non ricadere nei separatismi tenendo conto delle differenze. È un motto che ci rincorre da decenni. Lo ripetiamo anche noi. Proviamo a ripartire allora dalla lingua, dal senso e dall’uso speculativo della parola, per attraversare nell’etimo corrispondenze comuni. Democrazia. C’è posto per il mondo e per il suo doppio? L’eccesso di sicurezza produce il muro dei corpi. Ma sono corpi trattati come oggetti, facilmente sgomberabili per mancanza di solidità. Per mancanza di solidarietà, asportabili a un destino cieco. Sliding doors.
In fondo basterebbe tenere aperte le porte. Doors of perception, anno 1954.
È ciò che hanno fatto sabato migranti e attivisti accorsi in tanti a Rimini, occupando insieme agli abitanti di Villa Fiorentina e Eva, Villa Ricci. Casa Madiba non solo resiste, ma si fa più grande, più solida. Casa Madiba è la porta aperta.
(ph Melissa Cecchini)